È un fatto. Tendiamo a vivere come se l'esistenza fosse qualcosa che abbiamo intorno senza toccarci eccessivamente, un po' come pesci in una boccia d'acqua: ci svegliamo la mattina, un mugugno di saluto alla persona che abbiamo accanto nel letto, i soliti malumori, problemi, malfunzionamenti del menage quotidiano. Una casa disordinata o da sistemare senza che ci siano i soldi, una relazione che dura da molti anni e che non ha più nemmeno l'aspetto della sorpresa. Le solite frasi dette e ridette, le incomprensioni, le discussioni stupide perché si è stanchi e si ha voglia di sfogarsi per quanto è complicato il mondo.
Tutte queste cose noi le pensiamo normali, e forse a ragione. Quante volte è successo a ognuno di noi di alzarsi già incazzati, e di guardare il compagno o la compagna come se fosse la ragione dei nostri mali, come se fosse colpa sua se la nostra vita non è quel paradiso che ci aspettavamo da adolescenti? A me tante volte, e di grazia che sto con una persona paziente.
Viviamo come se la vita non ci toccasse, come se il vero senso delle cose stesse in altro dai minuti che passano lenti sui nostri orologi.
E poi succede.
Il qualcosa che non avresti mai voluto. Il giorno che tutti noi speriamo di non vedere mai.
Stavolta a me mi ha solo sfiorato: venerdì, alle cinque e mezzo del pomeriggio, il marito di un'amica carissima è morto in un incidente d'auto. La sua vita, quella dei figli, dei genitori, degli amici è cambiata per sempre nell'attimo di uno schianto.
Ma si muore così?
Si, nella maniera più stupida, insensata e semplice che si possa pensare.
E io, nelle lunghe ore passate a casa sua, a sentirla piangere e dire che non poteva farcela, ad aspettare che arrivasse il giorno dell'autopsia e infine il funerale, pensavo con orrore a quante volte queste due persone, sposate giovanissime, sposate da vent'anni, avranno litigato la mattina per la spazzatura non gettata, per il ritardo al lavoro, per un giorno di ferie non preso. Stupido, ma succede, e quando succede a me io resto lì, al tavolo della colazione oppure seduta sul mio lato del letto, a farla sbollire, a rendermi conto che ho esagerato, ad aspettare che arrivino le sei e mezzo e che il Topo apra la porta per guardarlo, scusarmi, sentirmi dire che non è successo niente e ricominciare, perché, anche se sembrava, non ho smesso di amarlo.
Solo che venerdì per la mia amica questo momento non è mai arrivato. Il loro tempo è finito prima.
Ed io, per loro, rimpiango tutte le volte che non ho detto al mio uomo che lo amo, che per me è la cosa più importante al mondo e che, se lo vedessi steso sul lettino di una camera mortuaria impazzirei. Rimpiango i malumori che ci hanno rovinato le giornate, le liti cretine per orgoglio. Rimpiango di non essere sempre capace di guardarlo con l'amore stupito con cui lui mi guarda.
E so che tutte le volte che questo ancora succederà, perché succede, io farò un torto alla mia amica senza che lei lo sappia, a lei e a tutti quelli che non hanno avuto tempo di dirsi un'ultima volta quello che davvero conta.
mercoledì 8 dicembre 2010
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