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martedì 29 giugno 2010

Pasta & pasticci 2: la rivincita del peperone..

A volte capita. Tu sei lì che guardi depresso il frigo nel tentativo di mettere d'accordo il pranzo con la cena e all'improvviso ti viene un'idea.. Uno sguardo su internet per vedere se è plausibile, poi il tentativo. E scopri che l'idea è geniale..
È quello che è successo a me ieri sera, e ve la posto perché veramente merita..

Pasta alla salsa di peperoni e salsiccia, dosi per due porzioni abbondanti.
Prendete tre peperoni di media dimensione e di colore a piacere (io ne avevo due rossi e uno giallo), lavateli, togliete tutti i semi e le pellicine interne e tagliateli a dadini.
In una padella tagliate una mezza cipolla a striscioline (o anche una intera se è piccola) e fatela soffriggere con l'olio; dopo un paio di minuti aggiungete i peperoni con un mezzo cucchiaino di sale grosso, fateli scottare con l'olio del soffritto e poi cominciate la cottura incoperchiando e aggiungendo acqua di tanto in tanto per evitare che il tutto si asciughi: la cottura è una fase abbastanza lunga, vi ci vorranno tre quarti d'ora abbondanti..
Quando vedete che i peperoni sono molto ben cotti e sono diminuiti di metà del volume spegnete e fate un po' raffreddare.
Mettete nella tazza del pimer (o del frullatore) i peperoni, tre cucchiai abbondanti di salsa di pomodoro e un po' d'acqua e fate andare finché il tutto non assume una consistenza cremosa; ributtate in padella, regolate di sale e d'acqua per scioglierlo quanto basta e rimettete sul fuoco finché non raggiunge bene il bollore: a quel punto sbriciolate dentro due salsicce (io avevo quelle umbre fatte con aglio e pepe, ma penso che ci vadano bene tutti i tipi di salsiccia) e fatela cuocere.
Lessate la pasta (preferibilmente corta, ma non metto limiti alla creatività) nella quantità desiderata per due persone e ripassatela in padella col sugo.
Cospargete di parmigiano e servite.
Il risultato è quello di una salsa abbastanza delicata, in cui il dolce del peperone contrasta col piccante della salsiccia.

Il Topo ha gradito molto..

lunedì 28 giugno 2010

L'entità metafisica del salotto

The "V day" is finally come!!!
Ieri, ore 19,10 fuso di Roma abbiamo montato l'ultima libreria, nonché ultimo pacco di mobilio Ikea che affollava il garage e ogni angolo della casa.. Ora ci resta da comprare le staffe per l'elemento libreria angolare (che nessuno ci ha dato, mannaggia..) e risolvere lo schema di tetris in cui si è trasformato il nostro ingresso a causa degli scatoloni di libri spostati momentaneamente dalla sala da pranzo, ed il gioco è (più o meno) fatto: io e Topo abbiamo una casa tutta nostra..
Paradossalmente la stanza che ci ha creato i maggiori problemi è stata la sala.. Si perché abbiamo scoperto a nostre spese che definire un "salotto" è qualcosa di estremamente complicato..
Ora, la decisione che abbiamo preso (più o meno) all'unanimità è stata quella di "agganciare" il salotto fra l'angolo del divano angolare e l'angolo della libreria angolare: il risultato è stato una stanza molto "don't worry", con tanti cuscini morbidi tra cui sedersi, molto spazio per i libri miei e del Topo e una tv per le serate post-studio/lavoro.
E l'annosa questione è stata: e la vetrina per i piatti?
Si, perché il mio uomo è una sorta di figlia mancata, la cui madre lo ha ingozzato di merendine da piccolo per potergli prendere coi punti un servizio da tavola da 24 della Mulino Bianco (e perdonate lo spottone).
Solo che io non so' tipo da pranzo di famiglia da 24 persone per la gioia delle quali sfoggiare la tovaglia di fino e il servizio! Noi abbiamo un simpatico mezzo-servizio Ikea verdolino fatto di pezzi scompagnati che usiamo per tutti i giorni, e spero di poter comprare un servizio da sei nuovo se avessi a cena una coppia di amici.. Punto..
E col Topo abbiamo concluso che siamo di fronte a un gap generazionale: mentre le famiglie dei tempi dei miei suoceri (anni '40) usavano la sala da pranzo come "sala di rappresentanza", non fatta per la famiglia ma da usare nelle occasioni in cui la massaia doveva farsi valere sul campo da lei più congeniale, quello della cucina e della biancheria, noi abbiamo creato una stanza per noi, da vivere, per rilassarci, per essere prima di tutto famiglia, poi per il resto si vedrà.. Tant'è vero che se invito gente ci sediamo allegramente intorno al tavolo di cucina con me che smanazzo tra i fornelli e che dopo cena se si chiacchiera mi metto a spicciare.. Sarà poco elegante ma va bene così..
'Ste cose mi fanno sempre riflettere: in fondo credo che sia un bene non sentire tanti condizionamenti, ma Ohmmadre mi guarda come se fossi una snaturata.. E tutto perché non ho un tavolo estensibile e una vetrinetta per le stoviglie di pregio "per fare un certo tipo di inviti..", come a significare "per invitare il capo e ungerlo così che dia un lavoro a tuo marito.." E so già che quando avrò a cena donne di qualunque estrazione mi sentirò molto più "scoperta" che se avessi una lunga tavola apparecchiata con il lampadario di cristallo..
Penso che la lotta per l'emancipazione femminile e la parità passino anche da qui: definirsi da soli l'entità metafisica del salotto (comune alimentare o bozzolo da bruco) senza panico da Gattopardo..
Voi che ne dite?

giovedì 24 giugno 2010

Noi puffi siam così..

È capitato a tutte le donne di casa alle prime armi, credo, ma quando succede a te è sempre un'emozione..
L'altro giorno ho fatto il bucato della biancheria, cosa scontata e naturale per qualunque proprietario di lavatrice.
Premetto che quando faccio i bucati sono costretta a raschiare il fondo del barile: già siamo solo in due con una lavatrice di sei chili da riempire (più piccola c'era solo quella rosa giocattolo), se mi metto anche a dividere ossessivamente i panni è finita. Dunque ho buttato dentro biancheria intima, biancheria da cucina, bianchi robusti e asciugamani.
Premetto anche che la mia suocerina Ohmmadre quando fa acquisti di ogni sorta è una calamità naturale su due gambe: c'è stata la tovaglia con improbabili puffi e una elegante (!) decorazione d'intorno a pallini, la stoffa double face con frutta da una parte e orsetti con palloncino dall'altra, salvo che le due fantasie sono visibili in trasparenza su ogni lato, così c'è l'aura dell'orso che appare sulla fetta di cocomero in una mistica macedonia, la retina frangifiamma per tegami di terracotta salvo che io NON HO tegami in terracotta. Cose così..
Ma l'asciugamano verde smeraldo no, da quello non credevo di avere niente da temere..
Si, ciao..
Quando sono andata a tirare fuori il bucato per stenderlo sono quasi morta. Dalle risate..
Il computo delle vittime prevede:
-stracci di cucina ex-bianchi divenuti ora di un azzurro equivoco
-stracci di cucina bianchi e verdi che appaiono ora in una nuance smorta e indistinta che si avvicina alle mozzarelle blu
-mutande verdoline, le mie a fare pendant con una canottiera sempre nello stesso bucato (e quasi quasi chiedo a Ohmmadre se ce n'ha anche uno rosso, di asciugamano, così mi faccio anche un completo rosa), quelle del Topo che sembrano i pannolini di quei pupazzetti che avevamo da bambini, che se li mettevi sotto l'acqua fredda il pannolino per l'appunto si colorava rivelandone il sesso.. d'altro canto il Topo è maschietto..
-pezzo forte: una canottiera del Topo diventata di uno stupendo turchesino, che non sarebbe venuta così bene nemmeno con la Coloreria.. E siccome il legittimo proprietario vedendola ha avvertito una contrazione all'indentro della sua mascolinità la suddetta canottiera è stata promossa a maglia da esterno femminile
Che dire? Noi Puffi siam così, noi siamo tutti blu..

lunedì 21 giugno 2010

Una specie di prezzemolo-sedano..

"Scusi, professoressa, ma che cos'è un cardo?"
chiede una compagna di scuola di C'monSister (la mi sorella, ovviamente) alla mia vecchia professoressa di greco, altro fulgido esempio di idiozia scolastica. L'anziana e a suo dire acculturata signora risponde con l'inconfondibile voce gracchiante: "Il cardo è.. una specie di prezzemolo-sedano"..

Questa storia mi fa sempre ridere, considerato che, per chi non lo sapesse, il cardo è il parente selvatico del carciofo. Ma ultimamente mi è tornata in mente a ragion veduta..
Venerdì sera avevo in testa di cucinare l'uovo a trippa (ricetta fantastica dell'Augusta che vi posterò prossimamente di straforo) e chiedo al Topo di cogliere un po' del prezzemolo che Ohmmadre gli aveva affidato perché venisse trapiantato nelle nordiche terre come baluardo della patria lontana. C'è da dire che detto prezzemolo ci aveva già fatto riflettere, data l'altezza fantasmagorica dei fusti, ma avevamo semplicemente pensato che fosse un derivato dell'origine sicula della piantina: si sa che in Sicilia le verdure hanno una marcia in più..
Ora, il Topo coglie il  prezzemolo: un rametto.. due rametti.. tre rametti..
Al quarto rametto mi fa: "Parliamone, annusa un po' 'sto prezzemolo.. secondo me c'ha qualcosa di strano.."
...
"Topo, ma questo è sedano!"
"Vero o no? Mi pareva.. Aspetta che lo assaggio.."
...
Era proprio sedano, che ci siamo gustati nell'insalata..
E il bello della cosa non è stata tanto la contraffazione vegetale, anche se il Topo si è alquanto risentito per la specialità culinaria perduta..
La mattina dopo il Topo chiama Ohmmadre per dirle della cosa:
"Hai presente il prezzemolo che mi hai dato? Ecco assaggialo.."
"Ma perché? Che cos'ha a mammina (intercalare siculo)?"
"Mamma è sedano.."
E la brava donna, in completa buona fede, risponde:
"Ma no, io ci ho cucinato.. È prezzemolo!"
"Mamma, se ti dico che l'ho assaggiato! Guarda che è sedano!"
"Ma no, sarà che viene da Napoli! E comunque guardaci in mezzo, che il prezzemolo ci deve essere"
Mi piace cominciare il sabato mattina con una risata..

giovedì 17 giugno 2010

Chi dice donna dice condanna

Prima la Tamaro con questo articolo, poi una segnalazione sul blog di Loredana Lipperini in merito ad un altro articolo che pretende di sostituire gli asili nido con le nonne.
Io, ormai, quando mi dicono donna, sto confusa..
No, perché anni e anni passati dopo le lotte femministe, il cosiddetto progresso e cazzate del genere, a quanto pare non sono serviti a niente.
Nel senso che la parità fra uomo e donna noi non ce l'abbiamo nella testa.
Parità nel senso di esseri entrambi autodeterminantisi che hanno diritto di orientare l'esistenza come meglio credono opportuno, dico io..
Prima la Tamaro, please: in sostanza la signora afferma che la stragrande maggioranza dei problemi sociali e relazionali delle donne si risolverebbe se le donne suddette riprendessero il ruolo che lentamente sta passando ai maschi, ed è convinta che tale ruolo si riassuae in due parole, maternità e dolcezza.
Faccio presente che l'articolo della Tamaro mi ha causato un mare di problemi: come sa chi mi legge di solito ho la sfiga di essere cattolica, per di più nata in una famiglia in cui l'Augusta non lavorava e ben convinta di seguirne l'esempio se sarà possibile: le teorie sopra riportate dovrebbero andarmi a fagiolo.
Ma c'era qualcosa che stonava.
Per esempio il fatto che pensare a una donna solo nell'ottica della maternità è incredibilmente e offensivamente riduttivo, soprattutto se fatto da parte di qualcuno che figli non ne ha. Se lo dico all'Augusta come minimo mi manda a cagare..
E poi questa cosa dei ruoli predefiniti: a me pare che sia tanto convenzionale l'accoppiata donna dolce-uomo forte di quanto è dannosa nell'ottica della Susanna quella virago-uomo debole. Cioè se io devo essere vista come una creatura votata al sacrificio e pregna di dolcezza, ciò accade perché qualcuno ha voluto così circa tremila anni fa (così come, peraltro, all'uomo non è concesso alcun tentennamento pena una reputazione perenne da checca).
E veniamo ai nonni: l'idea che una madre non debba usufruire di un servizio come l'asilo nido in nome di un buonismo familiare d'annata è ridicola. Il condominio dove abito è la casa dei genitori-bis: in cortile si vedono continuamente uomini e donne di almeno 65 anni con bambini duenni per la manina. A me fanno pena: dopo una vita di lavoro sono costretti a sostenere di nuovo le responsabilità dei genitori con il portato di stanchezza e acchiacchi dei loro anni. Dunque, se ti sta a cuore la salute dei tuoi o stai a casa a fare la calzetta e sforni creature oppure rinunci alla maternità?
La realtà è che le donne, nonostante le belle teorie dei miopi, non sono affatto libere. Certo siamo ammesse nelle università con ottimi risultati, possiamo lavorare (e ci mancherebbe), ma viviamo in una società che non ci consente di scegliere con serenità fra lavoro o maternità, oppure che non ci permette di tentarle entrambe e conciliarle. A me, che vorrei fare quel mestiere che non è un mestiere e che non si può dire perché è una parolaccia (no, ragazzi, non la prostituta ma la casalinga), mi prendono tutti per una Maria Goretti rediviva che sta chiusa nelle sue pareti mentali come dovrebbe ogni donna rispettabile; chi invece sceglie la carriera è una schifosa che misconosce la sua vera natura e pretende di occupare un posto che non le compete. Chi invece con fatica e frustrazione tenta di fare entrambe le cose non è altro che un monstrum, una Sfinge rediviva.. Ovvio poi che questo discorso coinvolge pure gli uomini: se volessero fare i padri, anziché i capitani d'industria, li prenderebbero per scemi. Fortunati loro che lo stereotipo l'hanno talmente introiettato che nemmeno ci pensano più al problema..
Sempre belle, mai vecchie, sempre con il piede nelle due staffe madre/manager, suora/puttana. Io credo che la nuova lotta per le donne, oltre ad abbattere gli impedimenti materiali, dovrebbe combattere gli stereotipi sociali: ci stanno facendo molto più male di quello che pensiamo..

mercoledì 16 giugno 2010

Perdonami Gabriel!

Ogni volta che rileggo "L'Amore ai tempi del colera", splendido romanzo di Gabriel Garcia Marquez, non posso che restarmene attonita e afflitta da un dubbio: ma che cos'è l'amore?
Benvenuta nel club, direte voi..
Passo a spiegare.
La storia è semplice: due ragazzi si innamorano di quella passione cocente e assoluta che si può provare solo a quindici anni, vogliono sposarsi ma il padre di lei non è d'accordo perché per la figlia vuole qualcosa di più. Allora la trascina in un viaggio di due anni attraverso i villaggi della Colombia. I due ragazzi restano in contatto, sempre più convinti. Ma al ritorno la ragazza, cresciuta, più donna in qualche modo, padrona ora della sua vita, si accorge che tutta la passione provata altro non è che un'illusione, un "inganno della memoria". E con grande dolore di lui chiude la storia.
Lei si sposerà con un brillante giovane dottore, bello, ricco, di alto lignaggio, innamorato di lei come un capriccio, con cui farà due figli e con cui vivrà un matrimonio assolutamente NORMALE (particolare attenzione a questa parola), condito anche di separazione, litigate cretine e ripicche, corna e quant'altro. Salvo poi, al momento di morire, guardare lei con occhi lucenti e dirle "Dio sa quanto ti ho amata".
Funerale. La sera stessa si ripresenta il fidanzato di gioventù e le riconferma un'amore che in quel momento è datato più di cinquant'anni. Lei prima lo scaccia, poi lo riconsidera, poi stringe con lui una relazione prima umana che sentimentale, e alla fine parte con lui in battello: una deliziosa coppia di anziani.
La prima domanda è: cosa vuole dirci l'autore? (perdonate il piglio da professoressa di italiano)
Che il primo amore non si scorda mai? Può anche darsi.
Ma leggete in particolare la parte iniziale del libro, la descrizione di come la moglie accudisce il marito ormai anziano, di come ne sostiene insicurezze e paure, a modo suo, certo, non tutte le donne sono uguali. Leggete il racconto della loro prima notte insieme, di tutte le ripicche cretine che animano un matrimonio, del recupero della coppia dopo un tradimento. É lì che io ho visto l'amore, ho visto quello che tiene insieme me e il Topo, non una passione bruciante che tutto consuma, ma la gioia e la fatica delle piccole cose, la tenerezza infinita di fronte alle paure del compagno e insieme la rabbia di sentirsi traditi da quelle insicurezze, la dolcezza delle abitudini insieme.
E, a rifletterci, se gli originari fidanzati possono recuperare una relazione che, per come la vedo io, non c'è mai stata, è solo perché lei, cresciuta e donna, sa dirigere la relazione nella difficile strada della quotidianità, dove non si può essere Tristano e Isotta o Romeo e Giulietta, ma semplicemente Homer e Marge Simpson.
Io da questo libro imparo sempre qualcosa: che l'amore vero non sta negli slanci, quella è un'illusione, ma nella vita insieme, con piccole miserie e gioie infinite. Che se sai affrontare quelle meschinità certo non avrai la sicurezza di una passione da romanzo, ma presto o tardi guarderai nuovamente il tuo uomo o la tua donna e ti ricorderai di quanto la ami.
Se poi non è questo il succo del romanzo, perdonami Gabriel.

sabato 12 giugno 2010

Two weeks divano

Ieri abbiamo provato nell'ordine:
. cosa significa acquistare quasi una tonnellata di mobili all'Ikea,
. caricarli tutti sui famigerati carrelli a causa dell'odioso "self service mobili" (il Topo sempre più nervoso e io, vedendo che ogni pacco diventava più pesante del precedente non potevo che spanciarmi dalle risate),
. ri-caricarli sul furgone in un diabolico tetris marrone,
. attraversare la città all'ora di rientro dal lavoro su un mezzo stracarico e drammaticamente privo di specchietto retrovisore,
. parcheggiare il suddetto bestione nel cortile di casa e scaricare nuovamente il tutto nel garage in un altro tetris marrone, stavolta con uno schema diverso..
. estrarre il furgone dal cortile: un mix di Topo confuso e io che strillavo "A SINISTRA!!!!!!!!", finché un vicino gentile ce l'ha magicamente portato fuori..
. Ritornare all'Ikea per restituire il furgone in affitto,
. ritornare a casa prendendo 2 autobus..
Una cosa al limite dell'umano..
Per fortuna il divano ce lo consegnano loro alla fine del mese..

martedì 8 giugno 2010

Il viso dell'eroe

L'orario sulla locandina, se così la si può chiamare, è alle cinque.
Alle quattro e mezzo esco di casa: so già che ci sarà folla, e non mi sbaglio. La coda per entrare nella grande sala arriva fino a metà della scalata d'ingresso.
Pazientemente mi metto in fila. Mano a mano che avanziamo osservo: studenti, profesori, anziane con la collana pesante e il foulard, professionisti, fricchettoni. Tutti insieme.
Chissà se ci passeranno al metal detector..
Per fortuna il carabiniere in servizio all'ingresso si limita gentilmente a farci entrare dieci per volta. Mi sporgo verso il tavolo alla destra della porta, e ancora la volontaria della protezione civile ribadisce: "Dieci per volta". Io volevo solo il programma. Lei mi guarda imbarazzata.
Entro. Mi dirigo subito verso uno dei posti vuoti in ultima fila. Non vale la pena di vagare per cercare un posticino vuoto più avanti. Molti lo fanno, ma pochi hanno fortuna. La sala è strapiena: tutta la cittadinanza si è riunita per l'occasione. Non posso fare a meno di domandarmi quanti sono lì per una questione di coscienza civile e quanti invece per godersi il fenomeno da baraccone, per vedere l'animale in gabbia. Vicino a me due ragazzi vestiti da alternativi. Fanno discorsi grandi, di solidarietà sociale, giustizia, legalità. E non lasciano sedere la signora incinta che resta in piedi alla fine della fila proprio accanto a loro. Sto per alzarmi ma la maschera gentilmente la accompagna davanti, in uno dei posti riservati.
Aspettiamo.
Quando lui entra lo senti istintivamente, come se un'aura fortissima fosse penetrata con lui nella stanza. Tutti si alzano e applaudono.
Roberto Saviano è un ragazzo magro, non molto alto, vestito con una giacca e un paio di jeans. Ma il qualcosa di diverso glielo leggi in faccia. La sua e quella dei tre uomini che lo accompagnano, che fanno gli indifferenti ma tanto lo sappiamo tutti perché sono lì.
Mentre sono in piedi e batto le mani sento una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco: la sensazione di avere davanti una vita bruciata, un uomo morto che cammina, una vittima sacrificale.
Un eroe.
Roberto Saviano parla: di mafia, di libertà di stampa, di politica con una dignità, tutte cose più grandi della parola che le contiene. Ma parla anche della difficoltà di vivere sotto scorta, del non poter avere rapporti umani come tutti, dell'odio che tutte le mattine prova contro il libro che ha scritto, delle critiche che sopporta in nome di un principio: far si che la gente capisca e partecipi.
Alla fine dell'intervista, delle parole stupide di circostanza del solito moderatore, che se non ci fosse sarebbe meglio, la folla si alza.
Io esco prima che posso, mi allontano dal casino della folla acclamante. Giro l'angolo e sento applaudire.
La sera scopro che mia sorella era di fuori sulla piazza, ad assistere all'intervista sul maxischermo allestito per l'occasione. Mi ha detto che ha aspettato, per essere sicura che lui salisse sull'auto sano e salvo.