Get Adobe Flash player

mercoledì 8 dicembre 2010

Succede..

È un fatto. Tendiamo a vivere come se l'esistenza fosse qualcosa che abbiamo intorno senza toccarci eccessivamente, un po' come pesci in una boccia d'acqua: ci svegliamo la mattina, un mugugno di saluto alla persona che abbiamo accanto nel letto, i soliti malumori, problemi, malfunzionamenti del menage quotidiano. Una casa disordinata o da sistemare senza che ci siano i soldi, una relazione che dura da molti anni e che non ha più nemmeno l'aspetto della sorpresa. Le solite frasi dette e ridette, le incomprensioni, le discussioni stupide perché si è stanchi e si ha voglia di sfogarsi per quanto è complicato il mondo.
Tutte queste cose noi le pensiamo normali, e forse a ragione. Quante volte è successo a ognuno di noi di alzarsi già incazzati, e di guardare il compagno o la compagna come se fosse la ragione dei nostri mali, come se fosse colpa sua se la nostra vita non è quel paradiso che ci aspettavamo da adolescenti? A me tante volte, e di grazia che sto con una persona paziente.
Viviamo come se la vita non ci toccasse, come se il vero senso delle cose stesse in altro dai minuti che passano lenti sui nostri orologi.
E poi succede.
Il qualcosa che non avresti mai voluto. Il giorno che tutti noi speriamo di non vedere mai.
Stavolta a me mi ha solo sfiorato: venerdì, alle cinque e mezzo del pomeriggio, il marito di un'amica carissima è morto in un incidente d'auto. La sua vita, quella dei figli, dei genitori, degli amici è cambiata per sempre nell'attimo di uno schianto.
Ma si muore così?
Si, nella maniera più stupida, insensata e semplice che si possa pensare.
E io, nelle lunghe ore passate a casa sua, a sentirla piangere e dire che non poteva farcela, ad aspettare che arrivasse il giorno dell'autopsia e infine il funerale, pensavo con orrore a quante volte queste due persone, sposate giovanissime, sposate da vent'anni, avranno litigato la mattina per la spazzatura non gettata, per il ritardo al lavoro, per un giorno di ferie non preso. Stupido, ma succede, e quando succede a me io resto lì, al tavolo della colazione oppure seduta sul mio lato del letto, a farla sbollire, a rendermi conto che ho esagerato, ad aspettare che arrivino le sei e mezzo e che il Topo apra la porta per guardarlo, scusarmi, sentirmi dire che non è successo niente e ricominciare, perché, anche se sembrava, non ho smesso di amarlo.
Solo che venerdì per la mia amica questo momento non è mai arrivato. Il loro tempo è finito prima.
Ed io, per loro, rimpiango tutte le volte che non ho detto al mio uomo che lo amo, che per me è la cosa più importante al mondo e che, se lo vedessi steso sul lettino di una camera mortuaria impazzirei. Rimpiango i malumori che ci hanno rovinato le giornate, le liti cretine per orgoglio. Rimpiango di non essere sempre capace di guardarlo con l'amore stupito con cui lui mi guarda.
E so che tutte le volte che questo ancora succederà, perché succede, io farò un torto alla mia amica senza che lei lo sappia, a lei e a tutti quelli che non hanno avuto tempo di dirsi un'ultima volta quello che davvero conta.

venerdì 22 ottobre 2010

Profondo disgusto

Ok, ok, smettete per un attimo di fare quello che state facendo.
Fermi, per favore. FERMI!!!
Qualcuno ha visto la prima pagina del "Giornale" di oggi?
Se non avete avuto il piacere ve la illustro io: titolo cubitale, I MANTENUTI DA BERLUSCONI; sotto le foto di Saviano, Zagrebelski, Scalfari, Benigni e gente di questa levatura. E sopra, più piccolo ma chiaramente leggibile, "I martiri del regime".
Prima di tutto un applauso per i geniali redattori del quotidiano: non deve essere stato facile ammettere, sia pure in modo implicito, che la cultura, l'informazione, l'intrattenimento, siano solo casse di risonanza del Premier.
E poi tanti complimenti per la tesi sostenuta. Certo deve essere impensabile per dei galoppini andare contro corrente, dimostrare libertà di pensiero in un sistema completamente foraggiato dal nemico. Sarebbe francamente più gentile e più carino continuare a dire che va tutto bene, anche se non ci saranno pensioni per i precari, l'immondizia sommerge Napoli (è necessario che io ricordi che era stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del premier?) e la televisione è tutta un culetto svolazzante.
A questi signori che si fregiano del titolo di giornalisti, cosa che, per inciso, comporterebbe anche una certa responsabilità, io dico no.
Dico che io mi sento un martire di regime, che non accetto di venire limitata nel diritto sacrosanto di vedere e leggere quello che mi pare, che la sospensione di programmi "estremi" come può essere "Annozero" o in misura minore "Che tempo che fa" e "Parla con me" danneggia tutta Italia, perché zittire qualunque tesi impoverisce l'intero discorso.
Dico che è una vergogna sbattere in prima pagina le facce di intellettuali illustri (andatevi a guardare chi è Gustavo Zagrebelski, e se smetterete di piangere sarete d'accordo con me) millantando un fair play ideologico che è roba da scuole elementari: certo, che disgraziati, è ovvio che costoro, affermati e famosi in tutti i campi, non fanno altro che mendicare attenzione contando le pulci in testa a Silviopoverino, senza avere il coraggio di sostenere l'impopolare tesi "va tutto bene". Dovrebbero: in fondo se è lui che paga bisogna come minimo mostrargli gratitudine.
Eh no, ragazzi. Silvietto non mi sta pagando un cazzo. Non paga la pensione di mio marito, precario, che deve ricorrere alla previdenza alternativa, non pagherà le scuole per i figli che avrò, non paga i servizi di cui non potrò usufruire perché stiamo scontando tutti una contrazione economica che esiste solo nella mente dei babau di sinistra.
E dico a tutti quelli che hanno la pazienza di leggermi di informarsi, spulciare su internet, magari registrarsi su Facebook e aderire alle pagine di informazione alternativa, che ti pubblicano in bacheca le notizie ogni volta che escono.
Io dico basta.
E ci aggiungo un "che schifo"..

sabato 25 settembre 2010

German contraddiction

Premessa: quest'estate, per un buffo scherzo della sorte, io e Topo ci siamo trovati in Germania, e più precisamente a Friburgo in Brisgovia (speriamo che si scriva così)..
Chi è capitato in Germania in macchina o in pullman saprà benissimo come autostrade e statali siano cosparse di simpatici cartelli gialli con la scritta “Ausfahrt” e una vistosa freccia. A quel punto ti chiedi che razza di città sia Ausfahrt, e quanto accidenti sia grande, e perché “tutte le strade portano a Roma” se in Germania tutte le frecce portano a Ausfahrt..
Si, a questo punto chi conosce un minimo di tedesco si sta sganasciando.
Perché “Ausfahrt” in tedesco sta per “uscita”: invece di indicare direttamente la città a cui l'uscita conduce, ti lasciano in balia di te stesso, ed eventualmente del tuo navigatore e dei segnali piantati dieci metri prima (e ormai inutili), ma ti segnalano bello chiaro che da lì puoi dire addio alle vie a rapido scorrimento ed abbandonarti ad un ovino vagare.
Ecco uno degli aspetti più belli e divertenti dei viaggi, e detto da me che vivo secondo la logica della lumaca (“fortunata, lumachina: sulla groppa hai la casina”) ha un che di cosmico: constatare e spesso sbattere la testa su tutti quegli scarti, aspetti, minuzie che costruiscono il “lost in translation” delle civiltà, quelle cose che tu trovi assurde ma che la persona di fronte a te, due gambe e due braccia e un idioma incomprensibile ai più, trova assolutamente normali.. Ovviamente divertenti a posteriori, quando riguardi le fotografie, che lì per lì t'ammazzeresti con le tue mani..
Per fare un altro esempio, se hai bisogno di una farmacia in Germania, passerai ore inutili a cercare una croce verde lampeggiante: quello che ti serve è un'anima pietosa che ti indichi le “A” rosse in carattere gotico su innumerevoli edifici, e ti dica che per l'appunto in tedesco farmacia si dice “Apotheke”.
Oppure ancora: io e il Topo ci siamo dannati per trovare dei miseri francobolli. In Italia li compri in qualunque tabaccheria, ma se ti avvicini ai gabbiotti-tabacchi agli incroci e domandi al prototipo della tabaccaia/giornalaia tedesca (biondo paglia, troppi anni e rughe e un assoluto rifiuto di ogni forma di lingua inglese) questa non saprà far altro che darti indicazioni sgangherate in un tedesco irto di sfumature dialettali. E poi per una botta di culo troverai i francobolli nella libreria della stazione.
A tavola le discrepanze aumentano, e senza un profondo senso d'adattabilità sei assolutamente finito: la pasta è riciclata come un accompagnamento del secondo piatto, un'interessante mezza via fra un'insalata e un filone di pane; il suddetto pane è potenzialmente fatto con tutto, dalla segale ai pinoli: lo devi rigorosamente imburrare e nel companatico l'affumicato è re. Le donne tedesche fanno da sole la marmellata in piccoli vasetti colorati, e fanno marmellate con tutto, pesche e zenzero, mele, bacche rosse del giardino.. Il risultato sono stati tre giorni di sperimentazione culinaria, superati brillantemente con un minimo di spirito d'avventura e senza incidenti gastrici, con mio profondo stupore..
Se sei italiano il divertimento tra l'altro aumenta: i prodotti provenienti dalla Toscana o dalla Calabria si sprecano, e in Germania la parola “Italia” è sinonimo di sano, biologico, pulito, bello; io stessa in altra occasione ho visto delle tedesche in gonnellina sedute sul marciapiede della stazione a Bologna che mangiavano allegramente fra piccioni e mozziconi di sigaretta. Come dire, brivido, orrore, raccapriccio.. Pensare “italiano=sano” quando noi soffochiamo in mezzo agli scarichi e alle polveri sottili? Da ribaltarsi dal ridere..
Per tacer poi delle città: quel sole che noi abbiamo in abbondanza e che guardiamo con malcelata ostilità da giugno a settembre loro lo sfruttano fino allo sfinimento, in una spasmodica ricerca di balconcini, finestroni, lucernari, ed è particolarmente gustoso vedere queste casette a punta, colorate ciascuna in modo diverso ma con un innato senso di eleganza e misura, animarsi di aperture e spazietti verdi, per la serie: chi c'ha il pane non c'ha i denti e chi c'ha i denti non c'ha il pane.. Ogni edificio, nelle città con una tradizione storica (cioè quasi tutte), porta scritto sulla facciata il nome della famiglia che l'ha fatta costruire assieme alla data della costruzione. Il che ha colpito profondamente me, cittadina di un paese che con la memoria ci pareggia le gambe zoppe del divano.
Detto francamente, tornare in un'Italia che in piena campagna colora le villette a schiera in due modi diversi (tipo giallo e rosa) secondo i gusti inconciliabili degli orgogliosi abitanti, che abbatte le case di mattoni indistruttibili per allestire un trionfo dei foratini, che relega il verde ai simboli di partito sulle facciate delle scuole e costruisce e cementifica come un'ossessa non è stato facile. E nonostante il gap culturale.

venerdì 24 settembre 2010

Venezia

Fra le case di Venezia c'è una magia particolare, un respiro che le percorre tutte, che dona un'identità definita ad ogni stucco, ad ogni intonaco, ad ogni trave ammuffita sotto un portico, a prescindere dalle mille storie dei mille e più abitanti lungo i secoli; nei vicoli stretti e nelle viuzze occhiute di mille finestre la città ti stringe in pugno e quasi ti soffoca, e poi all'improvviso ti lascia andare nell'aria e nel sole di un campiello, a chiederti cosa ti fosse accaduto fino a pochi istanti prima; a Venezia il blu ha le sfumature del lapislazzuli, il rosso si sfalda in mille toni diversi, chiari e scuri, luminosi e spenti; Venezia è la decorazione che timida fa capolino dal più semplice degli edifici  o ostenta sé stessa nei palazzi del Canal Grande, è la città del silenzio e del rumore insieme, il silenzio delle vie secondarie senza le auto e poco più in là lo schiamazzo di mille turisti che la osservano rapiti. Venezia è il rumore dell'acqua, l'odore del mare morto, le scale di un ponte che attraversa un canale. Venezia è lo scintillio del vetro da poco nei negozi per turisti intorno alla stazione, e l'ammiccare dell'oro e dei diamanti nelle vetrine di piazza San Marco, dove un caffè costa come il pane di una settimana e ti vendono gioielli con la stessa noncurante semplicità delle sigarette.
A Venezia dietro ogni angolo si nasconde un quadro, e ti viene quasi voglia di comprarti un album, gli acquerelli e restare lì a dipingere per il tempo necessario a restituire intatta tutta quella bellezza, giusto quei due o tre anni che bastano allo scopo. A Venezia il negozio il lusso si nasconde nel più umido e buio dei vicoli, perché il legno annerito, sordido e squallido da qualunque altra parte, a Venezia assume un suo senso, e diventa parte di un tutto che della decadenza ha fatto una bandiera.
Ogni città ha un suo modo di parlarti: quelle piccole in provincia, né troppo grandi né troppo piccole, ti accolgono amorose, vedi il cielo e la strada è a tua misura; quelle grandi sono sempre diverse da sé stesse, molti piccoli centri in uno e ognuno parla un suo linguaggio.
La lingua di Venezia non ha eguali: ti sussurra lusinghe all'orecchio, ti racconta storie d'Oriente, di maschere e d'oro, di notti popolate da assassini e nebbia; ti parla d'amore e si permette di scherzarci su nell'ammiccare di una finestra al sole o nelle volute di un glicine abbracciato ad un portico.

venerdì 27 agosto 2010

Telecamere

Dopo una lunga sessione di vacanza (in realtà quest'estate non ho fatto molto più che dormire..) Parliamone torna in tutta la sua magnificenza..
L'altra notte, nella mia piccola ridente cittadina umbra, è successa una tragedia, perché un diciannovenne che si getta da una rupe non può definirsi altrimenti; tralascio tutte le possibili variazioni sul tema "giovani e mancata educazione all'esistenza" perché sarebbe un suicidio degno di un post a parte.
A colpirmi è stato il commento che l'Augusta ha fatto alla cosa: "Se su quel tratto della rupe ci fossero delle telecamere non sarebbe un mistero se questo poveraccio si è buttato o l'hanno spinto.. Che tanto, a noi che ci passeggiamo sotto che fastidio darebbe una telecamera?"
Purtroppo tanto fastidio.
Viviamo in un mondo in cui la privacy non è più il diritto di veder tutelata la propria vita privata dagli occhi rapaci del resto del mondo (che tanto, tra facebook, youtube e via discorrendo, di non essere visti non frega più niente a nessuno), ma il tentativo di difendere le proprie malefatte, quelle che no, non possono proprio essere giustificate, da chi potrebbe vedere, giudicare e magari schifarsi. Viviamo la privacy come il diritto di fare quello che ci pare senza incorrere nel controllo sociale che, volenti o nolenti, è una prerogativa dell'uomo, come la sete o l'amore per la pizza..
E questa spasmodica ricerca di ombra per nascondere le pieghe più schifose dell'essere ha un risvolto che mi preoccupa ancora di più: denota la tendenza di questa nostra epoca a prendere l'illecito per qualcosa di bello che non si può fare, piuttosto che qualcosa di sfavorevole per il consesso umano che viene ragionevolmente vietato.
E ovviamente qui non penso più tanto al povero ragazzo morto suicida poco lontano da casa mia, ma a tante facce illustri e nomi noti che si nascondono dietro un dito e invocano il diritto a farlo.
Questi signori hanno tutto l'interesse a una legislazione sulla privacy che riduce al minimo la possibilità (nostra) di vedere e farci un'idea, credono che il furto, la corruzione, lo sfruttamento della prostituzione in tutte le sue forme più o meno sessuali sia un vantaggio che uno Stato cattivo (potrei dire comunista ma sarebbe troppo ovvio) ha vietato loro, lavando il cervello alle povere stupide formiche che non comprenderebbero la portata rivoluzionaria dei piaceri illeciti. Cosicché le formichine, da quelle poche briciole che cadono sulle loro testoline, succhiano un messaggio, che va bene tutto, che nessuno ha diritto di giudicare quel che fai, che il divieto umano ragionevole in realtà è una diga per i cretini.
Finché ti accorgi un giorno che non ci hai capito una mazza e per la disperazione di un mondo che non ti da appigli fai un salto di trecento metri.
Signori, io l'ho capito perché non volete telecamere, giornali, informazione corretta, crescita intellettuale, senso critico..
Perché in quel caso capiremmo quanto fate schifo..

domenica 1 agosto 2010

Reflusso.. Dannato reflusso..

Io soffro di reflusso gastro-esofageo.
E sul binario uno è partito lo "'sti cazzi" da Anagni.
Invece no! Perché va raccontata!
L'altro pomeriggio ero in cucina che preparavo l'insalata di riso. Mangio uno yogurt tanto per gradire, tempo dieci minuti, improvvisamente, mi fa male la gola. Tipico segno dell'avvenuto reflusso. Primi moccoli lanciati al vento. Vabbé.
Mi pippo di Tachipirina e aspetto fiduciosa. Il giorno dopo ancora molto fastidio alla gola, ma niente più di quello. So' mezza rincoglionita ma mi accontento. Fino alle undici di sera, quando il naso, bontà sua, comincia a piangere. Altra sessione di moccoli.
Sabato mattina. Ho un'idea: terme! Se uno ci va a fare inalazioni e compagnia bella qualche giovamento lo porteranno anche alle mie mucose depresse..
Non l'avessi mai fatto..
La mistura salsobromoiodica ha sciolto l'inverosimile dalle mie fosse nasali disastrate: è da ieri sera che respiro a bocca aperta come una carpa, i miei occhi sono acquosi e spenti (come una carpa), consumo sei fazzoletti l'ora e sembra che una filarmonica stia provando Wagner nella mia fronte. Ho tirato talmente tanti moccoli che sull'armadio hanno formato una comunità autogestita..
Ora: datosi che il reflusso è un disturbo assai comune (esiste anche il sito www.reflusso.net) potreste dirmi se succede anche a qualcun altro di innescare una spirale autodistruttiva così sofisticata?
No, almeno un disgraziato si regola..

venerdì 30 luglio 2010

Carmina freak show

Se vai in Germania per cantare una cosa come i Carmina Burana, lo fai con delle aspettative: presumi che i tedeschi vadano piuttosto orgogliosi del loro prodotto musicale più famoso, apparte Wagner; ti prepari mentalmente con un atteggiamento austero e rispettoso, anche se i testi dei vari canti tutto sono tranne che morigerati; ti aspetti che gli autoctoni pretendano da te una teutonica dignità.
Pensi insomma che sia una cosa seria.
Lo scorso fine settimana io e il Topo eravamo in una amena cittadina della Germania meridionale col nostro coro per partecipare ad una esecuzione dei suddetti Carmina insieme a spagnoli e iraniani, in gemellaggio col coro della suddetta cittadina. Tale esecuzione avrebbe concluso un festival musicale che appariva, ed era, molto significativo per la città, nonché fonte di una notevole mobilitazione popolare, con biglietti che costavano 35 sacchi per i posti di platea, tanto per rendere un'idea della situazione.
Ora, questa è stata la cronaca della faccenda: intanto la location approntata per il tutto era un gigantesco tendone da circo rosso pomodoro; e tu pensi "ma guarda che geni, questi germanicoli, niente auditorium abbastanza grande ed ecco che loro te ne gonfiano uno come un canotto". Tralasciamo il fatto che per raggiungere il tendone abbiamo dovuto attraversare in navetta due chilometri buoni di campi di fieno e recinti di cavalli&struzzi: già da quello avremmo dovuto capire quale sarebbe stato il tenore della cosa, ma noi eravamo ancora ottimisti..
Iniziano le prove: immaginatevi un coro di quattrocento persone e un'orchestra di ottanta più strumenti e percussioni su un palco standard da concerto. Se l'immagine nella vostra testa è simile a un pollaio ci siete quasi: niente quinte dove poter sostare in attesa, scalette pericolanti che se porti i tacchi sono un pericolo mortale, e un organizzatore che parla venti minuti in tedesco e tre secondi in inglese, e tu lo capisci che c'è qualcosa che non torna. Le sezioni del coro sono state stipate in angolini d'erba secca attigui all'esterno del tendone, sotto il sole e con braccialetti colorati lasciapassare terribilmente somiglianti a quelli che i volontari di Greenpeace mettono alle folaghe per tracciarne le migrazioni. Anche la prova è andata.


 Per il concerto era prevista una fase introduttiva in cui ognuno dei cori ospiti avrebbe dovuto presentarsi con un paio di pezzi: roba da dieci minuti, dici tu. Ecco lo svolgimento della serata:
- il primo a salire sul palco è un pazzo che per vivere fa l'attore, accompagnato da un paio di disneyane orecchie e da un gruppo di musica popolare iraniana: costui si mette a recitare un qualcosa di non meglio definito in tedesco mentre la band di Alì Babà si prodiga in un sottofondo orientaleggiante. Il risultato è stato assai simile a uno di quei reportage di raitre sulla guerra in Bosnia, col poveraccio che racconta di quando aveva ventisei pecore e le enumera tutte per nome con la musichina di sottofondo.
- al numero due salgono sul palco tre ragazzini di circa sedici anni che esibiscono la loro abilità ritmica armati di batteria e xilofono; voci di corridoio confermano che costoro fossero in rappresentanza di una scuola che finanzia i ragazzi dotati, e che per l'appunto stessero mostrando la loro dotazione. Noi, sul palco come cretini a fare da scenografia.
- al terzo posto sale un simpatico cantante folclorico tedesco con tanto di camorra, che per chi non lo sapesse trattasi di enorme tamburo che è possibile suonare con tutte le dita producendo una gamma singolare di effetti ritmici. Le rotule dei coristi si aggiungono al coro per mostrare il loro disappunto.
- finalmente, dopo un'ora e venti di attesa esposti al pubblico ludibrio, invece della donna cannone entriamo in azione noi: tre cori, due pezzi ciascuno per un totale di venti minuti di spettacolo. E tutti pensano "Grazie, Dio: adesso si comincia"
E invece no.
- con un repentino colpo di coda salgono sul palco almeno quattro pezzi grossi (ovviamente esprimentisi in tedesco, e se dovessi dire di chi accidenti si trattava mi troverei un po' spaesata), i tre ragazzini percussionisti e l'orecchione di prima, che mettono amorevolmente in scena una premiazione, i giovani per la loro dotatezza musicale, l'orecchione per.. per.. per.. Si, insomma finisce che Dumbo resta sul palco: prima chiama i soliti amichetti arabi per riproporre il giochino di prima, sottofondo con lettura amena in tedesco; poi accoglie un suo caro amico e la sua fisarmonica per un pot pourri di canzoni francesi stile Gilbert Becaud: il pubblico è in delirio.
Intervallo.
Finalmente fanno salire tutto l'organico dei carmina, l'orchestra e le quattro sezioni del coro che si dispongono sul palco ordinatamente secondo la linea "machecazzocifaccioqui".
Una pensa: "Cominciamo".
E invece ancora no!
Salgono sul palco in cinque: enorme pistolotto autocelebrativo tedesco di conclusione del festival, parla il capo della baracca, il ministro dell'educazione e anche un tale dal parlamento europeo (forse l'usciere). Attorno a me soprani senza scarpe seduti a terra in evidente prostrazione psicologica. Solo un quarto del coro capisce quel che viene detto.
Come se non bastasse, chiamano sul palco lui, il pezzo forte! Nonnino novantenne pippato in testa dai tempi di Woodstock con clarinetto: uno che ai suoi tempi doveva essere famoso ma che adesso suona grazie all'asma e quando non lo usano lo rimettono nella naftalina. Costui alita tre pallide note asfittiche nel clarinetto, inudibili nonostante l'amplificazione: ovazione generale! Tripudio! Mutande e reggipetti lanciati in aria dall'entusiasmo!
E finalmente, dopo 2 ORE E MEZZO di attesa, in piedi senza uno straccio di appoggio, il direttore, faccia da birra&patata, con sussiego sale sul palco e si prepara all'attacco.
E solo perché la donna barbuta e l'uomo che mangia i chiodi erano rimasti bloccati nel traffico..

giovedì 22 luglio 2010

L'ebbrezza della non-esistenza

Finalmente so cosa prova l'uomo invisibile..
Premessa..
Sabato sera è successo: dopo 2 ANNI ("minchia, due anni!" come direbbe Antonio Catania su "Mediterraneo") di fidanzamento ufficiale, sabato scorso sono stata presentata ufficialmente alla ex storica del Topo. Prima dell'evento mondano, come era ovvio, la Suddetta si comportava come se io non esistessi.. In fondo è normale: già avevo avuto l'ardire di legarmi al suo precedente fidanzato, oltretutto non mi conosceva, posso capire che ella trattava con lui come se io fossi ancore un pensiero nella mente del buon Dio (anche se francamente mi giravano a mille..)
Ecco.
Sabato mi sono mostrata in tutta la mia esistente fisicità, con tanto di stretta di mano e sguardo (suo) vagamente fumoso, tipo "piacere, anche se vorrei che ti schiacciasse un camion". Anche qui posso capire (anche se il momento angolare delle balle ormai è incalcolabile..)
Ora, ieri sera eravamo bellamente a spasso col Topo sul listone del centro (altresì detto "isola pedonale" per i perfezionisti), lui la vede a cinque metri e me la segnala. Io, presa da uno scrupolo di coscienza, e convinta che ella non ci avesse notato dico: -Topo, facciamo finta di niente..- Semplicemente non volevo metterla in imbarazzo, dato che era con altre persone.
E invece, quando eravamo giusto a tiro (di fucile, direi..) sentiamo la vocina flebile: "..ciao, Topo..". Il Topo, che ASSOLUTAMENTE NON sa gestire certe situazioni butta la un "Ciao" diretto.
E io?
Io dovevo essere diventata invisibile!
E, nello stupore del mio nuovo stato fisico, di valore incalcolabile se devi portare a termine compiti ameni cone svuotare un caveau, non ho fatto in tempo a salutarla e svelare la mia fisicità..
Queste so' scoperte scientifiche!
Anni e anni di ricerca, potenziamento della struttura liquida del corpo, film, libri, fantascienza varia e la soluzione è a portata di mano!
La prossima volta che la becco me la porto da Benetton: così, mentre lei mi rende invisibile con la sua indifferenza forzata io faccio incetta di gonne e maglioncini senza che nessuno mi veda..

martedì 20 luglio 2010

Tv e domande

Ho appena visto in tv, su una delle reti del beneamato zio Silvio che il Minzolini's BerluscaFanClub mi obbliga a guardare mentre mi cucino il pranzo, la presentazione di uno spettacolo di seconda serata, RealCSI, che riprende i casi di cronaca nell'ottica del famoso serial televisivo.
La voce fuori campo recita: "Tizia, quindici anni, violentata e uccisa da un aggressore" e il poliziotto aggiunge: "l'aggressione più violenta che abbia mai visto"..
Ora.
Come pretendiamo di poter mediare la violenza reale quando la televisione ci mostra quanto di peggio esiste nella natura umana sotto forma di un elementare passatempo?
E ancora.
Tutto ciò non rischia da un lato di banalizzare forme atroci di comportamento quando esse dovrebbero venire deprecate?
Questa si può chiamare informazione, attenzione alla realtà, realismo? Non è sciacallaggio? Non sarebbe meglio che i mezzi di comunicazione, nelle fasce deputate all'intrattenimento, cerchino di mediare la violenza alla quale le realtà già ci sottopone con l'attenzione all'educazione, allo spirito critico, al senso artistico degli ascoltatori?
E infine.
Da uno a dieci, quanto sono illusa?
(dalla regia dicono 417..)

giovedì 15 luglio 2010

Nessuno dei suddetti..

C'è un film del 1985 con Richard Pryor, "Chi più spende.. più guadagna"; la storia è semplice: un vecchio zio ricchissimo ed eccentrico lascia al nipote 300 milioni di dollari a condizione che il nipote ne spenda 30 in un mese, acquistando beni non durevoli; capirete che non è una cosa facile: lui assume dei consulenti per farsi aiutare, e improvvisamente l'idea, "facciamo una campagna elettorale", come si sa una delle faccende più costose in circolazione. Ma, e qui sta il bello, Monty (così si chiama il personaggio interpretato da Pryor) non può presentarsi personalmente, altrimenti dovrebbe onorare poi la carica in caso di elezione: inventa allora uno slogan, crea una campagna su un'intenzione. E l'intenzione è "Nessuno dei suddetti".. La cosa straordinaria è che detta campagna elettorale ha un successo strepitoso, ottiene la maggioranza.
Ecco.
Capirete che ci penso spesso.
No, perché per uno che si autodefinisce essere umano, con dei limiti, ma anche con delle convinzioni morali e dei valori, la vita è dura..
Parliamo del partito di governo: sembra il mondo alla rovescia. Ti sei beccato sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa? Sei un mito! Dato che ti autodefinisci estraneo ai fatti dopo il '93 e per qualche strano incantesimo i giudici ti hanno creduto, sei un esempio da imitare. E tutti che festeggiano come per un'assoluzione..
Allucinante..
E non basta..
Hai una causa pendente per corruzione (bruscolini)? Chettefrega? Vieni da noi! Diventerai MINISTRO..  Cioé, per quanto mi ricordavo, il detentore di una carica pubblica utile all'amministrazione di un nodo problematico del paese. Cioé no "vieni che ti metto in galera perché le mele marce devono star fuori dal cesto", ma "dato che sei l'ennesimo frutto malato ti copro io alla faccia del paese", che si ritrova governato da criminali.
E allora uno dice: "Vabbè, voteremo dall'altra parte"..
Poro scemo!
Oltre che da quell'altra parte so' tutti una manica di amorfi che si respingono come le calamite allineate in una fantastica fiera dell'entropia, ti escono ogni tanto con provvedimenti tipo "Scudo totale al presidente della repubblica, così potrà agire senza temere niente"..
Che se disgraziatamente uno non c'ha niente da temere (condizione alquanto insolita) sembra pure che sei delinquente come gli altri.
Senza contare gli innumerevoli onorevolicorrotti e impasti schifosi che uno può trovare quando scorre le vicende della politica locale, che in grande sono i detentori della pubblica moralità, poi nel piccolo..
E io penso a Richard Pryor..
Che succederebbe se tutti noi elettori (e parlo di sinistra, destra, alto, basso, deqquà, dellà, dove vi pare), facessimo l'unica cosa sensata, e sulla scheda, invece di una croce, scrivessimo tutti "NESSUNO DEI SUDDETTI"?
Per dire che, a prescindere dal colore e dalla convinzione, a una politica che è non servizio alla comunità ma solo fonte di denaro e potere, noi non ci stiamo.
Per dire che la politica è una rogna, una responsabilità e non una bengodi di aerei ed auto blu alla faccia di chi deve far quadrare i conti alla fine del mese.
Per dire che chi ci governa deve essere prima di tutto un modello in virtù della visibilità che possiede, perché il comportamento amorale privato è sbagliato in sé, ma in pubblico diventa fonte di imitazione, e i danni sono innumerevoli.
Per dire che ci siamo stufati di vedere sempre le stesse facce e le stesse espressioni fraudolente.
Io, alle prossime elezioni scriverò come Richard Pryor diceva: "NESSUNO DEI SUDDETTI".
E voi?

martedì 29 giugno 2010

Pasta & pasticci 2: la rivincita del peperone..

A volte capita. Tu sei lì che guardi depresso il frigo nel tentativo di mettere d'accordo il pranzo con la cena e all'improvviso ti viene un'idea.. Uno sguardo su internet per vedere se è plausibile, poi il tentativo. E scopri che l'idea è geniale..
È quello che è successo a me ieri sera, e ve la posto perché veramente merita..

Pasta alla salsa di peperoni e salsiccia, dosi per due porzioni abbondanti.
Prendete tre peperoni di media dimensione e di colore a piacere (io ne avevo due rossi e uno giallo), lavateli, togliete tutti i semi e le pellicine interne e tagliateli a dadini.
In una padella tagliate una mezza cipolla a striscioline (o anche una intera se è piccola) e fatela soffriggere con l'olio; dopo un paio di minuti aggiungete i peperoni con un mezzo cucchiaino di sale grosso, fateli scottare con l'olio del soffritto e poi cominciate la cottura incoperchiando e aggiungendo acqua di tanto in tanto per evitare che il tutto si asciughi: la cottura è una fase abbastanza lunga, vi ci vorranno tre quarti d'ora abbondanti..
Quando vedete che i peperoni sono molto ben cotti e sono diminuiti di metà del volume spegnete e fate un po' raffreddare.
Mettete nella tazza del pimer (o del frullatore) i peperoni, tre cucchiai abbondanti di salsa di pomodoro e un po' d'acqua e fate andare finché il tutto non assume una consistenza cremosa; ributtate in padella, regolate di sale e d'acqua per scioglierlo quanto basta e rimettete sul fuoco finché non raggiunge bene il bollore: a quel punto sbriciolate dentro due salsicce (io avevo quelle umbre fatte con aglio e pepe, ma penso che ci vadano bene tutti i tipi di salsiccia) e fatela cuocere.
Lessate la pasta (preferibilmente corta, ma non metto limiti alla creatività) nella quantità desiderata per due persone e ripassatela in padella col sugo.
Cospargete di parmigiano e servite.
Il risultato è quello di una salsa abbastanza delicata, in cui il dolce del peperone contrasta col piccante della salsiccia.

Il Topo ha gradito molto..

lunedì 28 giugno 2010

L'entità metafisica del salotto

The "V day" is finally come!!!
Ieri, ore 19,10 fuso di Roma abbiamo montato l'ultima libreria, nonché ultimo pacco di mobilio Ikea che affollava il garage e ogni angolo della casa.. Ora ci resta da comprare le staffe per l'elemento libreria angolare (che nessuno ci ha dato, mannaggia..) e risolvere lo schema di tetris in cui si è trasformato il nostro ingresso a causa degli scatoloni di libri spostati momentaneamente dalla sala da pranzo, ed il gioco è (più o meno) fatto: io e Topo abbiamo una casa tutta nostra..
Paradossalmente la stanza che ci ha creato i maggiori problemi è stata la sala.. Si perché abbiamo scoperto a nostre spese che definire un "salotto" è qualcosa di estremamente complicato..
Ora, la decisione che abbiamo preso (più o meno) all'unanimità è stata quella di "agganciare" il salotto fra l'angolo del divano angolare e l'angolo della libreria angolare: il risultato è stato una stanza molto "don't worry", con tanti cuscini morbidi tra cui sedersi, molto spazio per i libri miei e del Topo e una tv per le serate post-studio/lavoro.
E l'annosa questione è stata: e la vetrina per i piatti?
Si, perché il mio uomo è una sorta di figlia mancata, la cui madre lo ha ingozzato di merendine da piccolo per potergli prendere coi punti un servizio da tavola da 24 della Mulino Bianco (e perdonate lo spottone).
Solo che io non so' tipo da pranzo di famiglia da 24 persone per la gioia delle quali sfoggiare la tovaglia di fino e il servizio! Noi abbiamo un simpatico mezzo-servizio Ikea verdolino fatto di pezzi scompagnati che usiamo per tutti i giorni, e spero di poter comprare un servizio da sei nuovo se avessi a cena una coppia di amici.. Punto..
E col Topo abbiamo concluso che siamo di fronte a un gap generazionale: mentre le famiglie dei tempi dei miei suoceri (anni '40) usavano la sala da pranzo come "sala di rappresentanza", non fatta per la famiglia ma da usare nelle occasioni in cui la massaia doveva farsi valere sul campo da lei più congeniale, quello della cucina e della biancheria, noi abbiamo creato una stanza per noi, da vivere, per rilassarci, per essere prima di tutto famiglia, poi per il resto si vedrà.. Tant'è vero che se invito gente ci sediamo allegramente intorno al tavolo di cucina con me che smanazzo tra i fornelli e che dopo cena se si chiacchiera mi metto a spicciare.. Sarà poco elegante ma va bene così..
'Ste cose mi fanno sempre riflettere: in fondo credo che sia un bene non sentire tanti condizionamenti, ma Ohmmadre mi guarda come se fossi una snaturata.. E tutto perché non ho un tavolo estensibile e una vetrinetta per le stoviglie di pregio "per fare un certo tipo di inviti..", come a significare "per invitare il capo e ungerlo così che dia un lavoro a tuo marito.." E so già che quando avrò a cena donne di qualunque estrazione mi sentirò molto più "scoperta" che se avessi una lunga tavola apparecchiata con il lampadario di cristallo..
Penso che la lotta per l'emancipazione femminile e la parità passino anche da qui: definirsi da soli l'entità metafisica del salotto (comune alimentare o bozzolo da bruco) senza panico da Gattopardo..
Voi che ne dite?

giovedì 24 giugno 2010

Noi puffi siam così..

È capitato a tutte le donne di casa alle prime armi, credo, ma quando succede a te è sempre un'emozione..
L'altro giorno ho fatto il bucato della biancheria, cosa scontata e naturale per qualunque proprietario di lavatrice.
Premetto che quando faccio i bucati sono costretta a raschiare il fondo del barile: già siamo solo in due con una lavatrice di sei chili da riempire (più piccola c'era solo quella rosa giocattolo), se mi metto anche a dividere ossessivamente i panni è finita. Dunque ho buttato dentro biancheria intima, biancheria da cucina, bianchi robusti e asciugamani.
Premetto anche che la mia suocerina Ohmmadre quando fa acquisti di ogni sorta è una calamità naturale su due gambe: c'è stata la tovaglia con improbabili puffi e una elegante (!) decorazione d'intorno a pallini, la stoffa double face con frutta da una parte e orsetti con palloncino dall'altra, salvo che le due fantasie sono visibili in trasparenza su ogni lato, così c'è l'aura dell'orso che appare sulla fetta di cocomero in una mistica macedonia, la retina frangifiamma per tegami di terracotta salvo che io NON HO tegami in terracotta. Cose così..
Ma l'asciugamano verde smeraldo no, da quello non credevo di avere niente da temere..
Si, ciao..
Quando sono andata a tirare fuori il bucato per stenderlo sono quasi morta. Dalle risate..
Il computo delle vittime prevede:
-stracci di cucina ex-bianchi divenuti ora di un azzurro equivoco
-stracci di cucina bianchi e verdi che appaiono ora in una nuance smorta e indistinta che si avvicina alle mozzarelle blu
-mutande verdoline, le mie a fare pendant con una canottiera sempre nello stesso bucato (e quasi quasi chiedo a Ohmmadre se ce n'ha anche uno rosso, di asciugamano, così mi faccio anche un completo rosa), quelle del Topo che sembrano i pannolini di quei pupazzetti che avevamo da bambini, che se li mettevi sotto l'acqua fredda il pannolino per l'appunto si colorava rivelandone il sesso.. d'altro canto il Topo è maschietto..
-pezzo forte: una canottiera del Topo diventata di uno stupendo turchesino, che non sarebbe venuta così bene nemmeno con la Coloreria.. E siccome il legittimo proprietario vedendola ha avvertito una contrazione all'indentro della sua mascolinità la suddetta canottiera è stata promossa a maglia da esterno femminile
Che dire? Noi Puffi siam così, noi siamo tutti blu..

lunedì 21 giugno 2010

Una specie di prezzemolo-sedano..

"Scusi, professoressa, ma che cos'è un cardo?"
chiede una compagna di scuola di C'monSister (la mi sorella, ovviamente) alla mia vecchia professoressa di greco, altro fulgido esempio di idiozia scolastica. L'anziana e a suo dire acculturata signora risponde con l'inconfondibile voce gracchiante: "Il cardo è.. una specie di prezzemolo-sedano"..

Questa storia mi fa sempre ridere, considerato che, per chi non lo sapesse, il cardo è il parente selvatico del carciofo. Ma ultimamente mi è tornata in mente a ragion veduta..
Venerdì sera avevo in testa di cucinare l'uovo a trippa (ricetta fantastica dell'Augusta che vi posterò prossimamente di straforo) e chiedo al Topo di cogliere un po' del prezzemolo che Ohmmadre gli aveva affidato perché venisse trapiantato nelle nordiche terre come baluardo della patria lontana. C'è da dire che detto prezzemolo ci aveva già fatto riflettere, data l'altezza fantasmagorica dei fusti, ma avevamo semplicemente pensato che fosse un derivato dell'origine sicula della piantina: si sa che in Sicilia le verdure hanno una marcia in più..
Ora, il Topo coglie il  prezzemolo: un rametto.. due rametti.. tre rametti..
Al quarto rametto mi fa: "Parliamone, annusa un po' 'sto prezzemolo.. secondo me c'ha qualcosa di strano.."
...
"Topo, ma questo è sedano!"
"Vero o no? Mi pareva.. Aspetta che lo assaggio.."
...
Era proprio sedano, che ci siamo gustati nell'insalata..
E il bello della cosa non è stata tanto la contraffazione vegetale, anche se il Topo si è alquanto risentito per la specialità culinaria perduta..
La mattina dopo il Topo chiama Ohmmadre per dirle della cosa:
"Hai presente il prezzemolo che mi hai dato? Ecco assaggialo.."
"Ma perché? Che cos'ha a mammina (intercalare siculo)?"
"Mamma è sedano.."
E la brava donna, in completa buona fede, risponde:
"Ma no, io ci ho cucinato.. È prezzemolo!"
"Mamma, se ti dico che l'ho assaggiato! Guarda che è sedano!"
"Ma no, sarà che viene da Napoli! E comunque guardaci in mezzo, che il prezzemolo ci deve essere"
Mi piace cominciare il sabato mattina con una risata..

giovedì 17 giugno 2010

Chi dice donna dice condanna

Prima la Tamaro con questo articolo, poi una segnalazione sul blog di Loredana Lipperini in merito ad un altro articolo che pretende di sostituire gli asili nido con le nonne.
Io, ormai, quando mi dicono donna, sto confusa..
No, perché anni e anni passati dopo le lotte femministe, il cosiddetto progresso e cazzate del genere, a quanto pare non sono serviti a niente.
Nel senso che la parità fra uomo e donna noi non ce l'abbiamo nella testa.
Parità nel senso di esseri entrambi autodeterminantisi che hanno diritto di orientare l'esistenza come meglio credono opportuno, dico io..
Prima la Tamaro, please: in sostanza la signora afferma che la stragrande maggioranza dei problemi sociali e relazionali delle donne si risolverebbe se le donne suddette riprendessero il ruolo che lentamente sta passando ai maschi, ed è convinta che tale ruolo si riassuae in due parole, maternità e dolcezza.
Faccio presente che l'articolo della Tamaro mi ha causato un mare di problemi: come sa chi mi legge di solito ho la sfiga di essere cattolica, per di più nata in una famiglia in cui l'Augusta non lavorava e ben convinta di seguirne l'esempio se sarà possibile: le teorie sopra riportate dovrebbero andarmi a fagiolo.
Ma c'era qualcosa che stonava.
Per esempio il fatto che pensare a una donna solo nell'ottica della maternità è incredibilmente e offensivamente riduttivo, soprattutto se fatto da parte di qualcuno che figli non ne ha. Se lo dico all'Augusta come minimo mi manda a cagare..
E poi questa cosa dei ruoli predefiniti: a me pare che sia tanto convenzionale l'accoppiata donna dolce-uomo forte di quanto è dannosa nell'ottica della Susanna quella virago-uomo debole. Cioè se io devo essere vista come una creatura votata al sacrificio e pregna di dolcezza, ciò accade perché qualcuno ha voluto così circa tremila anni fa (così come, peraltro, all'uomo non è concesso alcun tentennamento pena una reputazione perenne da checca).
E veniamo ai nonni: l'idea che una madre non debba usufruire di un servizio come l'asilo nido in nome di un buonismo familiare d'annata è ridicola. Il condominio dove abito è la casa dei genitori-bis: in cortile si vedono continuamente uomini e donne di almeno 65 anni con bambini duenni per la manina. A me fanno pena: dopo una vita di lavoro sono costretti a sostenere di nuovo le responsabilità dei genitori con il portato di stanchezza e acchiacchi dei loro anni. Dunque, se ti sta a cuore la salute dei tuoi o stai a casa a fare la calzetta e sforni creature oppure rinunci alla maternità?
La realtà è che le donne, nonostante le belle teorie dei miopi, non sono affatto libere. Certo siamo ammesse nelle università con ottimi risultati, possiamo lavorare (e ci mancherebbe), ma viviamo in una società che non ci consente di scegliere con serenità fra lavoro o maternità, oppure che non ci permette di tentarle entrambe e conciliarle. A me, che vorrei fare quel mestiere che non è un mestiere e che non si può dire perché è una parolaccia (no, ragazzi, non la prostituta ma la casalinga), mi prendono tutti per una Maria Goretti rediviva che sta chiusa nelle sue pareti mentali come dovrebbe ogni donna rispettabile; chi invece sceglie la carriera è una schifosa che misconosce la sua vera natura e pretende di occupare un posto che non le compete. Chi invece con fatica e frustrazione tenta di fare entrambe le cose non è altro che un monstrum, una Sfinge rediviva.. Ovvio poi che questo discorso coinvolge pure gli uomini: se volessero fare i padri, anziché i capitani d'industria, li prenderebbero per scemi. Fortunati loro che lo stereotipo l'hanno talmente introiettato che nemmeno ci pensano più al problema..
Sempre belle, mai vecchie, sempre con il piede nelle due staffe madre/manager, suora/puttana. Io credo che la nuova lotta per le donne, oltre ad abbattere gli impedimenti materiali, dovrebbe combattere gli stereotipi sociali: ci stanno facendo molto più male di quello che pensiamo..

mercoledì 16 giugno 2010

Perdonami Gabriel!

Ogni volta che rileggo "L'Amore ai tempi del colera", splendido romanzo di Gabriel Garcia Marquez, non posso che restarmene attonita e afflitta da un dubbio: ma che cos'è l'amore?
Benvenuta nel club, direte voi..
Passo a spiegare.
La storia è semplice: due ragazzi si innamorano di quella passione cocente e assoluta che si può provare solo a quindici anni, vogliono sposarsi ma il padre di lei non è d'accordo perché per la figlia vuole qualcosa di più. Allora la trascina in un viaggio di due anni attraverso i villaggi della Colombia. I due ragazzi restano in contatto, sempre più convinti. Ma al ritorno la ragazza, cresciuta, più donna in qualche modo, padrona ora della sua vita, si accorge che tutta la passione provata altro non è che un'illusione, un "inganno della memoria". E con grande dolore di lui chiude la storia.
Lei si sposerà con un brillante giovane dottore, bello, ricco, di alto lignaggio, innamorato di lei come un capriccio, con cui farà due figli e con cui vivrà un matrimonio assolutamente NORMALE (particolare attenzione a questa parola), condito anche di separazione, litigate cretine e ripicche, corna e quant'altro. Salvo poi, al momento di morire, guardare lei con occhi lucenti e dirle "Dio sa quanto ti ho amata".
Funerale. La sera stessa si ripresenta il fidanzato di gioventù e le riconferma un'amore che in quel momento è datato più di cinquant'anni. Lei prima lo scaccia, poi lo riconsidera, poi stringe con lui una relazione prima umana che sentimentale, e alla fine parte con lui in battello: una deliziosa coppia di anziani.
La prima domanda è: cosa vuole dirci l'autore? (perdonate il piglio da professoressa di italiano)
Che il primo amore non si scorda mai? Può anche darsi.
Ma leggete in particolare la parte iniziale del libro, la descrizione di come la moglie accudisce il marito ormai anziano, di come ne sostiene insicurezze e paure, a modo suo, certo, non tutte le donne sono uguali. Leggete il racconto della loro prima notte insieme, di tutte le ripicche cretine che animano un matrimonio, del recupero della coppia dopo un tradimento. É lì che io ho visto l'amore, ho visto quello che tiene insieme me e il Topo, non una passione bruciante che tutto consuma, ma la gioia e la fatica delle piccole cose, la tenerezza infinita di fronte alle paure del compagno e insieme la rabbia di sentirsi traditi da quelle insicurezze, la dolcezza delle abitudini insieme.
E, a rifletterci, se gli originari fidanzati possono recuperare una relazione che, per come la vedo io, non c'è mai stata, è solo perché lei, cresciuta e donna, sa dirigere la relazione nella difficile strada della quotidianità, dove non si può essere Tristano e Isotta o Romeo e Giulietta, ma semplicemente Homer e Marge Simpson.
Io da questo libro imparo sempre qualcosa: che l'amore vero non sta negli slanci, quella è un'illusione, ma nella vita insieme, con piccole miserie e gioie infinite. Che se sai affrontare quelle meschinità certo non avrai la sicurezza di una passione da romanzo, ma presto o tardi guarderai nuovamente il tuo uomo o la tua donna e ti ricorderai di quanto la ami.
Se poi non è questo il succo del romanzo, perdonami Gabriel.

sabato 12 giugno 2010

Two weeks divano

Ieri abbiamo provato nell'ordine:
. cosa significa acquistare quasi una tonnellata di mobili all'Ikea,
. caricarli tutti sui famigerati carrelli a causa dell'odioso "self service mobili" (il Topo sempre più nervoso e io, vedendo che ogni pacco diventava più pesante del precedente non potevo che spanciarmi dalle risate),
. ri-caricarli sul furgone in un diabolico tetris marrone,
. attraversare la città all'ora di rientro dal lavoro su un mezzo stracarico e drammaticamente privo di specchietto retrovisore,
. parcheggiare il suddetto bestione nel cortile di casa e scaricare nuovamente il tutto nel garage in un altro tetris marrone, stavolta con uno schema diverso..
. estrarre il furgone dal cortile: un mix di Topo confuso e io che strillavo "A SINISTRA!!!!!!!!", finché un vicino gentile ce l'ha magicamente portato fuori..
. Ritornare all'Ikea per restituire il furgone in affitto,
. ritornare a casa prendendo 2 autobus..
Una cosa al limite dell'umano..
Per fortuna il divano ce lo consegnano loro alla fine del mese..

martedì 8 giugno 2010

Il viso dell'eroe

L'orario sulla locandina, se così la si può chiamare, è alle cinque.
Alle quattro e mezzo esco di casa: so già che ci sarà folla, e non mi sbaglio. La coda per entrare nella grande sala arriva fino a metà della scalata d'ingresso.
Pazientemente mi metto in fila. Mano a mano che avanziamo osservo: studenti, profesori, anziane con la collana pesante e il foulard, professionisti, fricchettoni. Tutti insieme.
Chissà se ci passeranno al metal detector..
Per fortuna il carabiniere in servizio all'ingresso si limita gentilmente a farci entrare dieci per volta. Mi sporgo verso il tavolo alla destra della porta, e ancora la volontaria della protezione civile ribadisce: "Dieci per volta". Io volevo solo il programma. Lei mi guarda imbarazzata.
Entro. Mi dirigo subito verso uno dei posti vuoti in ultima fila. Non vale la pena di vagare per cercare un posticino vuoto più avanti. Molti lo fanno, ma pochi hanno fortuna. La sala è strapiena: tutta la cittadinanza si è riunita per l'occasione. Non posso fare a meno di domandarmi quanti sono lì per una questione di coscienza civile e quanti invece per godersi il fenomeno da baraccone, per vedere l'animale in gabbia. Vicino a me due ragazzi vestiti da alternativi. Fanno discorsi grandi, di solidarietà sociale, giustizia, legalità. E non lasciano sedere la signora incinta che resta in piedi alla fine della fila proprio accanto a loro. Sto per alzarmi ma la maschera gentilmente la accompagna davanti, in uno dei posti riservati.
Aspettiamo.
Quando lui entra lo senti istintivamente, come se un'aura fortissima fosse penetrata con lui nella stanza. Tutti si alzano e applaudono.
Roberto Saviano è un ragazzo magro, non molto alto, vestito con una giacca e un paio di jeans. Ma il qualcosa di diverso glielo leggi in faccia. La sua e quella dei tre uomini che lo accompagnano, che fanno gli indifferenti ma tanto lo sappiamo tutti perché sono lì.
Mentre sono in piedi e batto le mani sento una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco: la sensazione di avere davanti una vita bruciata, un uomo morto che cammina, una vittima sacrificale.
Un eroe.
Roberto Saviano parla: di mafia, di libertà di stampa, di politica con una dignità, tutte cose più grandi della parola che le contiene. Ma parla anche della difficoltà di vivere sotto scorta, del non poter avere rapporti umani come tutti, dell'odio che tutte le mattine prova contro il libro che ha scritto, delle critiche che sopporta in nome di un principio: far si che la gente capisca e partecipi.
Alla fine dell'intervista, delle parole stupide di circostanza del solito moderatore, che se non ci fosse sarebbe meglio, la folla si alza.
Io esco prima che posso, mi allontano dal casino della folla acclamante. Giro l'angolo e sento applaudire.
La sera scopro che mia sorella era di fuori sulla piazza, ad assistere all'intervista sul maxischermo allestito per l'occasione. Mi ha detto che ha aspettato, per essere sicura che lui salisse sull'auto sano e salvo.

giovedì 27 maggio 2010

Dieta e altre torture

Ebbene, dopo un periodo di leggero disordine emotivo (ricerca della casa, trasloco e affini) ho deciso di cedere ai dictat dello specchio e ho finito per mettermi a dieta, parola che, come hanno detto tutti i miei amici, fa moscio solo a dirlo.. Ora, intendiamoci, non sono tipo da diete da fame: mi limito a mangiare due terzi al massimo di un pasto normale e a limitare le schifezze tipo merendine e intingoli.
Insieme alle dieta sono arrivate anche le amiche creme rassodanti anticellulite: una tortura cinese consistente nello spalmo insistito di una gelatina verde fino al rigonfiamento dei bicipiti doloranti e non solo..
Ma qualcosa mi ha fatto riflettere..
Cos'è che nel mio grasso vi offende?
Parlo all'Augusta e alla Veneranda, mia madre e mia nonna, che proprio stamani mi hanno castigato con frasi del tipo "quando non avevi questi cinque chili eri bellissima..", parlo a tutte le donne che leggono con aria assertiva gli articoli più o meno stupidi delle riviste femminili e ritengono che la morbidezza (MORBIDEZZA, non sovrappeso o obesità) sia una piaga sociale, parlo a quelli che fabbricano i vestiti, perché a meno di poter spendere una fortuna, e non è il mio caso, non si trova una maglia o un pantalone più grande di una reale 46 al massimo.
Cos'è che nel mio grasso vi offende?
Perché non guardate la persona che voglio essere o voglio diventare? Perché non parlate prima con me e scoprite che magari siamo una famiglia di galeoni spagnoli e pretendere dimagrimenti da record è solo un'illusione? Perché non guardate a quello che posso offrire come persona e vi limitate alla mia circonferenza fianchi?
E perché tu, Augusta, che ieri hai pasturato a patatine e maionese avanzati da una cena, rivolgi la tua frustrazione addosso a me come se il mio rotolino fosse una tua sconfitta personale? Mi dispiace, non sono di legno, che ci vai con la pialla e via..
In genere di fronte a queste cose mi distacco, faccio una risata e passo agli articoli sul trucco o sul sesso, ma a volte è meno facile di altre..
Per la cronaca: se avessi avuto la possibilità di rifare tutto il guardaroba affanculo la dieta e tutto il resto.
Per ulteriori indicazioni su come la penso guardate Il blog del BeYourselfMovement a destra.
E per ultimo un doveroso grazie al Topo: mi ha sempre detto che secondo lui sono bellissima.

martedì 18 maggio 2010

Le incognite del matrimonio

Ovvio stereotipo quello del matrimonio come inesauribile fonte di preoccupazioni.
Quello che ho scoperto in questo fine settimana è PERCHÈ la parola matrimonio genera improvvise quanto irresistibili coliche di fegato..
Anni e anni di vita insieme sempre con la stessa persona?
No, non ci siete.
Monogamia ad oltranza e addio avventure?
Non è il peggio.
Sabato pomeriggio io e mia suocera, chiamata Ohmmadre (e qui capite donde viene tale nome), dopo tanto penare abbiamo parlato di logistica matrimoniale.
Metti caso che una coppia vuole devolvere in beneficenza l'equivalente delle bomboniere, convinta che forse vale di più un bambino curato da Emergency di un ninnolo cretino e costoso su uno scaffale. La reazione della veneranda quasi-settantenne è stata un rientramento totale della bocca nella faccia effetto acido e un laconico "Dtmcmvlteamstbn.." che a un orecchio allenato come è quello del Topo suonava "ditemi come volete e a me sta bene".. Molto rassicurante, non trovate?
Tre riprese di discussione più o meno pacata e abbiamo tirato fuori da una reticente suocera siciliana la necessità di compensare con qualcosa di TANGIBILE delle buste di mancia che monetariamente parlando potrebbero essere abbastanza "pesanti". La frase conclusiva è stata "voi potete fare come volete, ma IO ho degli obblighi".
E io invece è da sabato che ci penso.
Di chi è il matrimonio?
Perché qui sembra proprio che siamo almeno in sei ad essere coinvolti, e a seguire in sessanta.. A me cosa frega che tale zia si senta offesa dalla mia coscienza sociale? (e in che mondo di merda un coccetto o la classica cornice d'argento fasullo si accettano più volentieri di un contributo ad una causa che vale? Ma questo meriterebbe un post a parte) Chi ha chiesto niente a nessuno? Francamente preferisco un tostapane regalato di cuore piuttosto che 1500 sacchi di carità pelosa come un tasso nella speranza di mangiare come un porco e di beccarsi un piatto d'argento da scaffale.. Che se dobbiamo metterci a fare un ricevimento principesco per questi quattro pazzi scatenati stanno freschi.. E i nostri in un mondo ideale avrebbero annuito e ci avrebbero fatto da scudo. Invece la cosa più bella è stata sentirsi dire "se proprio vuoi fare beneficenza, se questo è il tuo sogno, vorrà dire che dopo devolviamo qualcosa" col tono della mamma che accontenta il capriccio della figlia.
Mia suocera.
Ma vaffanculo!!!
E di seguito ecco altra riflessione più importante.
Quando ho sentito rivolgermi la frase "Anch'io ai miei tempi ho dovuto accettare parecchi compromessi" c'ho avuto un mezzo attacco di bile. Ma possibile che da quando il mondo è nato ogni matrimonio deve essere la rivincita dei genitori degli sposi per quello che non hanno potuto avere a loro volta? E chi te lo ha fatto fare di non impuntarti per ciò che volevi? Considerato che a sposarci siamo noi i nostri genitori dovrebbero semplicemente aspettare di sapere cosa vogliamo fare per cerimonia & co.. E so quale può essere l'obiezione: decide chi paga, che nel mio caso non possiamo essere solo noi, data la mia patologica spiantatezza e tutti i soldi che sono partiti per la casa. Ma dato anche che sono io a volere una cosa più ristretta non vale nemmeno quella lamentela.. E a maggior ragione quella lamentela non vale perchè io conosco il motivo sotteso a tutto questo casino: quello che c'è in ballo qui non è l'unione di due persone che scelgono davanti alla comunità di passare il resto della vita insieme, non è il sacramento (dimensione fondamentale per me che sono credente).
No.
Qui ci si gioca la fedeltà a benaltra divinità. 
La dea Figura.
Il matrimonio mio e del Topo sarà l'evento che confermerà la considerazione di Ohmmadre da parte del parentame italiano (e per fortuna l'Augusta Genitrice si ricorda del SUO, di matrimonio e non ci si mette anche lei, sennò morivo).
Ma non sono cazzi che mi riguardano: se voglio una stalla al posto della chiesa e polpettone per pranzo l'unico che può metterci bocca è il Topo..
Mi piacerebbe che lo capissero..
Dopo un fine settimana di discussioni di coppia Io e Topo siamo arrivati ad un compromesso: bomboniera piccola (che sarò io a disegnare) e, se è vero che queste buste saranno così ricche, devolveremo ad Emergency l'equivalente.
Noi siamo d'accordo su tutto, ma non so quanto potremo mantenere di questo tutto.
La guerra è cominciata.


giovedì 13 maggio 2010

Casa reloaded

Parliamone it's back!!
(momento di commozione)
Dopo una lunga cinque giorni di completa pazzia ho ritrovato il tempo per sedermi davanti al pc e postare.
Finalmente io e Topo abbiamo traslocato!
La camera da letto piena di scatoloni colorati da vestiario sembra lo schema del tetris (tant'è vero che io giro per casa da ieri fischiettando il motivetto della versione originale del gioco), la cameretta sembra una falegnameria, con tutti i pezzi di mobilio appoggiato alle pareti in attesa di montaggio, il salotto orfano di mobili è ingombro di buste, bustine e scatoloni, mi ricorda gli spiazzi delle giostre quando i carrozzoni sono partiti.. Ma finalmente io e Topo abbiamo traslocato..
È stato un incubo: venerdì e sabato pulizie a tutto spiano per rendere presentabili almeno elettrodomestici e sanitari.. È saltato fuori che tutto quello che io credevo irrimediabilmente danneggiato o vecchio era soltanto sporco: il conto in banca ringrazia, io che ho pulito un po' meno..
Domenica tour de force all'Ikea per comprare il minimo indispensabile a rendere una casa abitabile..un minimo di 350 sacchi.. Il Topo era evidentemente turbato..
Lunedì montaggio selvaggio: i binari sopra il lavabo e il piano cottura, la lavatrice, il mobilio minimo.. Me so magnata una tonnellata de polvere..
Martedì il dramma: impacchetta gli ultimi vestiti e smonta l'armadio, e nei ritagli tra uno scroscio di temporale e l'altro trasporta il trasportabile nella nuova casa.. Alla fine erano le sette, noi eravamo zozzi e sudati con le lische dell'armadio ancora in piedi e alle otto e un quarto ci aspettavano per le prove del coro: il grido di battaglia è stato "Topo, chiama la pizzeria", e alle prove siamo arrivati con mezz'ora di ritardo. Mica potevo morì..
Mercoledì: lo spostamento vero e proprio con traslocatori. E qui è obbligo parlare di Octopus.
Dicesi Octopus la straordinaria signora che mi aiuta a fare le pulizie, ereditata dalla vecchia padrona di casa e di cui io non potrei fare a meno, chiamata affettuosamente così per la sua incontenibilità: qualsiasi cosa tu stia facendo ti vedi il suo braccio che solleva quello che tu stai portando, ti passa il prossimo panno da stendere, ti prende con rude pragmaticità la spugna fra le mani.
Ecco.
Io ci sono abituata. Il Topo è rimasto sconvolto, leso nella sua mascolinità dall'energia della suddetta signora. Signora che invece di continuare le pulizie di casa (e considerate che noi avevamo anche il cohinquilus, il quale meschino ha praticamente saltato la rigenerazione igienica della casa) ci ha aiutato a fare i viaggi con gli ex mobili e alla fine, invece di rimanere, è allegramente saltata sul camion da trasloco e ci ha aiutato a scaricare.. Allucinante, ma io l'ho adorata (il cohinquilus un  po' meno).
Alla fine, con quattordici viaggi supplementari e tanto sudore ce l'abbiamo fatta.
Drammi paralleli e correlati alla vicenda sono stati il giunto della lavatrice che non è mai della misura giusta, o troppo grosso e non s'avvita o troppo piccolo e perde, il rubinetto della cucina che per la commozione appena aperto è praticamente esploso e la caldaia più complicata dell'enigma della sfinge..
Ieri sera, a letto nella casa nuova, me so' quasi commossa.
Dal trasloco ho imparato che:
  • per quanto ti prepari prima e cerchi di organizzare tanto ti riduci sempre all'ultimo momento.
  • un marito che entra nel merito di quello che succede in casa per certi versi è peggio di uno che se ne frega: io e il Topo abbiamo "amabilmente" discusso su tutto. E menomale che c'è l'amore..
  • c'è sempre qualcosa che ti sfugge: che sia il pelapatate, la carta igienica, l'adattatore della presa, tanto è rimasto di là.
Una signora che conosco, sapendo che col Topo mettevamo su casa e traslocavamo, ha commentato: "Questi sono i momenti più belli.."
...
Ma perché, che succede dopo?!?!?!

giovedì 6 maggio 2010

Può capitare..

Può capitare che vi trovavate nel vostro nuovo appartamento (vostro si fa per dire, dato che si tratta di un affitto) per comunciare a dare un senso alla sozzura regnante ovunque, e avendo deciso di chiudere le ostilità vi apprestate ad uscire con due gocce d'acqua dal cielo: dite a voi stessi "non è distante, possiamo farcela anche se siamo senza ombrello.." ma nell'arco di dieci metri le due gocce diventano temporale, e dopo altri dieci metri il temporale diventa un muro d'acqua.. Finisce che rientrate a casa vecchia, appena pulita dalla fedele signora delle pulizie, completamente fradici, compresi i capelli freschi di shampoo..
Può capitare..
Può capitare che, dopo esservi pazientemente asciugati e cambiati (per colpa delle mie infinite trasferte io avevo pochi vestiti e sono finita con pantaloni e scarpe del Topo, che non mi stavano nemmeno male, peraltro..), vedete che fuori è finalmente spuntata un'ombra di sole e decidete di andare a fare un paio di spese indispensabili per casa. Ma appena uscite dalla porta (stavolta con l'ombrello, ecchecazzo..) cominciano a cadere due goccine timide: dieci metri ed ecco un altro temporale, altri dieci metri ed ecco un'altra muraglia d'acqua.. Più bagnati di prima, ma molto determinati (ad ammalarci, direbbe l'Augusta Genitrice) saliamo sul tram, ed ecco che smette di piovere.. Abbiamo concluso che Giove Pluvio ce l'aveva con noi, ora dovremo sentire Tiresia l'indovino per sapere quanti bovini dovremo sacrificare in merito..
Può capitare..
Ma può anche capitare che, con i pantaloni bagnati fino al ginocchio e le scarpe che fanno "trush trush" ad ogni passo, con la certezza del reumatismo che si diffonde dagli arti inferiori, nel negozio che ti hanno consigliato amici riesci a comprarti lavatrice, microonde e aspirapolvere tutti di marca a meno di 400 sacchi..
E a quel punto tutta l'acqua presa non ci è dispiaciuta granché..

mercoledì 5 maggio 2010

Libricino..

Post intertraslocatorio rapido rapido (il Topo è in ferie apposta e io qui che posto.. Che dite, mi molla?)
Giusto per fare un po' di sana pubblicità, ecco il libro di un'amica.. Per quelle che come me che sognano la maternità e intanto la temono e anche per quelle che ci sono dentro e si chiedono perché..

martedì 4 maggio 2010

Rotolino adiposo alle terme

Era un pomeriggio assolato e caliginoso sulla nave. Il silenzio era interrotto dal lamento in lontananza dei gabbiani e dallo spazzolone del mozzo Amos sul legno del ponte. All'improvviso un tremore, onde che si alzano.. I marinai scappano sottocoperta di fronte al flagello che si avvicina: STA ARRIVANDO LA BALENA BIANCA!!!

Questo è esattamente quello che ho pensato davanti allo specchio del camerino di un noto negozio di costumi da bagno, quando mi sono provata il costume da bagno per le terme di sabato..

Eh si, è ricominciata la stagione balneare, altrimenti detto, la temperatura è abbastanza alta da consentire un bagno alle terme all'aperto senza annessa polmonite.
Sabato io e Nef abbiamo abbandonato le relative famiglie per una giornata di spaparanzo alle terme. Che vi devo dire, gente..
Fantastico..
Acqua calda come un brodo, bollicine solleticachiappe, getti anticervicale: sarà psicosomatico, ma le terme te la danno quella bella sensazione di fare qualcosa di specifico per la tua salute, anche se in effetti cicciosa ero e cicciosa so' rimasta (costume a parte che quello è uno schianto).
Ma non basta..
Le terme ti danno l'idea archetipica del lusso: hai a disposizione accappatoio e telo da bagno che dopo non sarai tu a lavare, puoi stare tutto il giorno spaparanzata su una sdraio in chiacchiera o languidamente a mollo nel consommè senza pastidapreparare lavatricedariempire pulireilbagno, ti preparano il pranzo, ti massaggiano fino alla scomposizione ai minimi termini.. Sarà per questo che ti costano come un'operazione alla cornea..

Nota a piè di pagina: da non credere quanto mi è mancato il topo.. Sarà stato che era sabato e per noi il sabato è sacro, dato che lui lavora tutta la settimana e la sera è così stanco che a stento mi vede nel letto; sarà tutto questo casino del trasloco, che ci riduce i momenti di intimità familiare..
Checcesai..
In effetti credo che alcuni momenti di distacco, in cui una coppia pratica attività separate (e la combinazione "io a mollo" e "lui in cucina col pupo" è particolarmente invitante), siano funzionali: sarà un'ovvietà, ma alla fine ti diverti un mondo a ritrovarti e raccontarti che il massaggiatore, Guido, era pelosissimo, somigliante sputato a Bilbo del "Signore degli Anelli" e con una voce da prete ciellino bassa bassa e fioca fioca...
Comunque penso che quest'estate lo prelevo anche a lui e lo porto a mollo.. Fosse la volta che dimagriamo tutti e due..

venerdì 30 aprile 2010

Sono vecchia per queste cose..

Parliamone c'ha mal di gola.. Come i bimbi..
Direte voi, ma come si fa a prendere mal di gola alla fine d'aprile e con una stagione che è pure più "temperata" del solito? Mi piacerebbe rispondere che ho preso freddo durante una straordinaria performance sessica della notte scorsa, ma in realtà la causa è un'altra..
Nella mia città, che chiamerò Patanegra come il prosciutto spagnolo (manteniamolo, questo anonimato), c'è dappertutto questa cosa figa e trendy che si chiama aria condizionata.. L'alchimia
ascella sudata+30 centigradi esterni+botta di aria gelata
ha colpito ancora, e ora sono qua che mi pare di averci le tonsille rivestite di quelle spugnette verdi grattose che ci si puliscono le pentole.. Tra l'altro sto ancora aspettando che l'irritazione si diffonda lungo tutte le parti tubolari della faccia, come fa sempre..
E considerato che domani è prevista una giornata alle terme che mi pregusto una settimana la faccenda mi rosica non poco.. Fortuna, come ha detto l'Augusta Genitrice, che le terme male non possono farmi..
Per adesso mi imbottisco di tachipirina e prego qualche santo: come si dice, in medicina come in religione l'unica cosa che ti salva è la fede..
(coff coff, colpo di tossetta grattosa)

giovedì 29 aprile 2010

Pasta & pasticci

Oggi a pranzo ero sola come sempre, e come sempre non avevo idea di cosa accidenti cucinare (il dilemma della congiunzione astrale pranzo-cena..quanta sofferenza..): ho aperto il frigo e mi sono inventata una roba con quello che ho trovato.. Mi è venuto uno spettacolo tale che ho deciso di postarla, tanto non stava scritto da nessuna parte che non dovessero esserci anche ricette qua dentro.. Devo avvertirvi però che si tratta di una roba per stomaci robusti: io l'ho fatta piatto unico per un momento di profonda fame, e sono centroitaliana, quindi abituata a sapori rustici..

L'ho chiamata "pasta campagnola" perché dentro c'è quanto di più facile trovare nella dispensa di una casa di campagna: se qualcuno rivendica la paternità di una pasta con questo nome..mi mandi la sua ricetta! Facciamo uno scambio culturale..

dosi per una persona:
  • 2 zucchine piccole o una più grossa
  • una fetta di pancetta (io ho usato quella secca di casa mia, ma mezza vaschetta di quella dolce del supermarket dovrebbe andare) tagliata a dadini
  • 80g di pasta (io ho usato fusilli, voi sbizzarritevi..)
  • una fetta di pecorino tipo primo sale
  • un uovo
procedimento:
Cuocete le zucchine tagliate fine in padella con poco olio e pochissimo sale (sennò a ricetta finita vi viene qualcosa che andrebbe bene solo per la capra di casa..); a cottura avanzata aggiungete la pancetta a dadini e fate insaporire, poi spegnete.
Intanto cuocete la pasta in acqua poco salata; quando è ancora al dente scolatela e passatela nella padella delle zucchine.
Accendete il fornello e ripassate finché non sfrigola: a quel punto metteteci l'uovo intero e mescolate bene perché si amalgami. Quando l'uovo si è strapazzato aggiungete anche il pecorino e mescolate di nuovo bene.
Una spolverata di parmigiano e servite.

Tanto per parafrasare Penelope Cruz in "Per incanto o per delizia" se la dividete con qualcuno che amate meglio, sennò magnatevela voi, che male nun fa.

La radicalizzazione delle reazioni

Ultimamente ho preso la brutta abitudine di vagolare in giro per blog altrui: il giochino è semplice, prendi i blog seguiti da una blogghista a caso e te li passi uno dopo l'altro, è piuttosto piacevole come passatempo..
Raga, sono rimasta esterrefatta.
Facciamo un esempio a caso: ieri ho seguito un filo logico che mi portava tramite la recensione di un libro (non lo nomino, non per pusillanimità, ma perché credo che non sia fondamentale) fino al blog di una signora che quel libro lo ha stroncato. Non è stata tanto la critica ad impressionarmi (a naso la condividevo anch'io, pur non avendolo letto), ma la pioggia di pietre, metaforiche, che si è abbattuta sulla poveraccia: in nome del presunto splendore del romanzo hanno contestato la sua professionalità (è insegnante), il suo senso critico, la sua buona fede, fino ad allusioni fastidiose alla sua vita privata.
E mi sono venute in mente tante cose..
I tanti (troppi) programmi televisivi il cui motivo di fondo è la lite sguaiata e violenta e non la discussione su argomenti socialmente rilevanti.
Una foto (di cattivo gusto) vista sul sito di Bastardidentro che ha suscitato nello spazio dedicato ai commenti una vera e propria lite a suon di insulti sul vero significato della dignità femminile.
Le pagine di tante altre blogghiste che vietano commenti razzisti, omofobi e via cantando.
Le liti, gli striscioni, i fischi in Parlamento.
Mi sono posta delle domande.
Come ha fatto la nostra civile (!) Italia, la culla della cultura, a non accorgersi della violenza che penetrava anche nelle fessure più nascoste? E più importante, da quando non riusciamo più a sublimare il bisogno di violenza insito nell'uomo, in modo da lasciare intatto lo spazio dello scambio di idee? Nella fattispecie, leggendo il blog della povera insegnante non ho potuto fare a meno di chiedermi se i vari commentatori fossero tutti parenti della scrittrice in questione, per difenderla in modo così appassionato. Possibile che la diversità di opinione sia un problema così grande? Ti è piaciuto un libro, a lei no. Cambi blog e tiri a campare.
Di questo passo non si potrà più dire "sono gay", "sono di destra": se prima ti guardavano di traverso adesso rischi la coltellata..
Il fatto che la violenza per l'uomo sia una necessità è stato ampiamente dimostrato da studi antropologici, ma le varie culture hanno sempre trovato un modo di indirizzare tale violenza per preservare il tessuto civile (dai giochi gladiatorii ad "Arma letale"). Dal punto di vista sociologico e antropologico credo che questo sia un pericoloso campanello d'allarme per la cultura italiana: il segno di una società che radicalizza il contrasto, che non si alimenta più del confronto ma tenta di imporre di volta in volta l'idea del più violento, di quello che grida più forte. E la minoranza non se ne starà zitta, ma cercherà anch'essa modi "incisivi" per far prevalere la sua opinione, in una giostra di reazioni sempre più estreme.
E una società così è destinata al fallimento.

mercoledì 28 aprile 2010

Epillio per l'affitto della casa

Venite alfine gente, a sentire la storia
di baldi cavalieri in cerca di fortuna;
Donna Cosciotta l'una, Sancio (Peloso) Panza l'altro.
Non come ispanici antenati che cantò Cervantes
costoro andarono alla ventura:
non v'era Dulcinea da conquistare
né mulino a vento da sconquassare.
I due, Cosciotta e Peloso,
combatterono per lo mulino,
ma per poter al suo interno
abitare e prosperare;
e niente graziose fanciulle (che sennò sai le sberle)
ma le tarpane traveste da conquistare:
Armando bionda e truccata di meretriceo modo,
Ernesto dallo sbavato rossetto
(potrai tu pur dire di esser pomiciata,
noi non lo pensiamo).
Alfin la dignità vince lo soldo,
e senza genitoriale firma ad insozzar le carte
i due Donna Cosciotta e Peloso
trionfarono e il mulino affittarono.
Per lunedì previsto è l'almo trasloco!

Parafrasi:
io e Topo alla fine ce l'abbiamo fatta! Siamo riusciti ad affittare quel cazzo di appartamento senza bisogno delle firme dei nostri genitori.
E sapeste che mostri le proprietarie..

martedì 27 aprile 2010

A te..

A te, che mi hai conosciuto quando ero ancora una bambina, e con poche parole mi hai aperto il cuore: avevo capito subito che avrei voluto stare con te, ma vallo a pescare uno di dieci anni più vecchio con un dottorato in un'altra città..
A te che tornavi sempre e mi raccontavi tante cose della tua vita..
A te che a un certo punto ci siamo guardati e ti ho detto: "ma che vai subito a casa?"..
A te per tutte le camminate lunghissime di quell'autunno, per le chiacchierate, le risate, la comprensione innata di due anime tanto diverse..
A te, che quel pomeriggio di febbraio ti avrei buttato giù dal parapetto, non fosse stato che già ti amavo troppo..
A te, che mi hai regalato un innamoramento fatto di lunghi discorsi e lettere, di passi fatti insieme, senza fretta..
A te che mi hai insegnato ad amare, e per me amare significa amarti..
A te, perché grazie a te ho imparato a lottare per ciò che è importante..
A te, perché quando ci siamo messi insieme ero una cosa informe, e tu mi hai aiutato a diventare una donna e ad affrontare la vita..
A te, adesso che stiamo per prendere una casa, perché tu sappia che lotterò con te quando il gioco diventerà duro..
A te che presto sarai mio marito..
Buon anniversario, Topo!

lunedì 26 aprile 2010

Facciamo qualcosa di sinistra?

Ieri, 25 aprile, anniversario della Liberazione.
Io e Topo eravamo a Udine a trovare certi amici: lassù il 25 aprile è una festa sentita, non per niente è sede dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
Io vengo dal centro Italia: noi non sappiamo cos'è la resistenza partigiana quella vera, nelle campagne dei miei nonni sono arrivati quasi subito gli inglesi, e spesso vengono ricordati con più affetto i pochi ragazzi tedeschi sbandati ai quali venivano offerti un piatto di minestra e un letto per alleviare la ritirata piuttosto che i generali alleati che con arroganza tutta anglosassone imponevano la loro presenza nelle case trasformate in quartier generale.
Noi non conosciamo i partigiani.
Ed è stata una scoperta straordinaria, una volta tanto, sentirsi parte di un paradigma comune, di un ideale condiviso, di una politica che non è carriera e arrivismo ma è sogno di un domani migliore (soprattutto per una generazione come la nostra, che invece di sognare cerca di arrivare sana e salva a letto la sera senza che il mondo faccia troppi danni).
Alla grigliata di festeggiamento dopo la manifestazione si mescolavano ragazzi con troppi orecchini e tatuaggi, signore bene col foulard di seta e vecchi militanti coi fazzoletti dell'Anpi, uomini e donne che la guerra la portano ancora scritta nei solchi del viso; c'era musica sinistreggiante prima latinoamericana e poi italiana impegnata, e l'odore del fumo si mescolava al sole e alle voci di tante persone diverse tutte unite da una qualifica: antifascista.
Beh, gente: tanto è stato l'entusiasmo e il trasporto che io e il Topo abbiamo finito per tesserarci anche noi.
Ma stringendo in mano la tessera non ho potuto che porre a me stessa una domanda: di fronte a un dramma così lacerante come una dittatura subita che si trasforma in guerra civile, sarei stata capace anch'io di deporre la vita di tutti i giorni, le abitudini e la sicurezza per intraprendere un'esistenza di trincea, in cui ogni sospiro potrebbe essere l'ultimo e andrebbe comunque speso per lottare? Avrei avuto la forza di combattere per un'ideale come hanno fatto quegli stessi uomini e donne, non già personaggi di un libro ma volti e voci che mangiavano e ridevano attorno a me? La risposta non me la sono ancora data..
Buon anniversario della Liberazione!

sabato 24 aprile 2010

Siamo alla frutta

Ieri sera ero sotto la doccia.
Stavo ovviamente pensando ad altro.
Prendo un flacone di sapone e comincio a lavarmi i capelli, sempre pensando ad altro.
Dopo qualche secondo mi risintonizzo: il sapone fa poca schiuma. Ripercorro mentalmente i miei gesti..
Si, mi stavo lavando i capelli col sapone intimo.
Mi sono davvero sentita una TESTA DI CAZZO..

venerdì 23 aprile 2010

Cattolicesimo, bioetica, froceria &co..

Tesi:
Il cattolicesimo oggi è in crisi. Dice che è perché il mondo cattolico non fa presa, perché non trova più un dialogo con sé stesso. E te credo: dovunque ti giri è un vivamaria di insulti fra i vari progressisti/sinistroidi/casinevoli e gli altrettanto numerosi beghini/bigotti/destrorsi. Come un assedio sotto un castello tra i due gruppi c'è un fossato di.. schifezza, ragazzi: non mi vengono altri appellativi. E pure Paparatzy non è mister simpatia..
Corollario:
Io sono cattolica. E di questi tempi per una come me la vita è dura. Se sei giovane e cattolico sono cazzi. Se sei giovane, donna e cattolica sono VERAMENTE cazzi..
Considerazioni:
1.
Non si deve pensare al mondo cattolico come ad un calderone grigio ed indifferenziato: di solito c'è lo stereotipo cattolico=moralista palloso, forzaitaliota perché i comunisti odiano Dio e tutto il contorno. Una volta il coinquilino del Topo (molto ingegnere e molto ateo), parlando di etica, politica e religione mi disse: "Io con te che sei cattolica posso rapportarmi! Pensavo che foste tutti miei nemici". Vi assicuro, bella gente, che siamo tanti e diversi come i virus, chi è cattolico lo sa. E vi giuro su quei tre euro di risparmio per l'università che mi restano che c'è anche chi vota a sinistra (e non sono solo io).
2.
Non è che se sei cattolico (e in senso lato religioso) certi problemi non ti toccano o sai come risolverli a prescindere. Non è che il giorno della comunione assieme al vangelo ci danno anche il vademecum con cui affrontare i casini della vita.. Se sei cattolico c'hai una strada per guardarli i problemi, ma la vita non la risolvi come Ned Flanders (che peraltro è protestante, ma si presta al discorso): ecco, a quelli sparategli, che ci fate un favore pure a noi..
3.
Parliamo un po' di bioetica e di etica in generale. Anche qui si parla sempre e tanto di cattolici contro: contro l'aborto, contro l'inseminazione, contro le tecnologie di diagnosi prenatale, contro l'eutanasia. Il problema qua sta a monte: dire "date a Cesare quel che è di Cesare" non implica soltanto il pagamento delle tasse (cose che fanno le Mortadelle ma non le Banane), implica che si deve lasciare allo Stato la possibilità di intervenire per una tutela a raggio più largo possibile. Il che comporta salvare la donna che vuole abortire dall'intervento delle mammane, tutelare anche i più ferventi seguaci di Scientology, non turbare il dolore profondo di chi ha un congiunto in una situazione di vita-non vita.
Chi legge dirà: informati, ciccia.. Gli alti prelati la dicono diversa.
Indubbiamente è vero. Ma rispondo con due appunti: il primo è che spessissimo le parole dei papaveri discordano alla grande con quello che tanti "semplici" preti dicono dagli amboni la domenica mattina, parole di apertura, aiuto, tolleranza; il secondo appunto riguarda il modo in cui la società (e specie i media) interpretano le parole dei capi ecclesiastici: paradossalmente il Papa&combriccola devono dirle certe cose, ma non mirano certo a una reazione del tipo "Bene, gente, il Papa ha parlato; sbolognate tutto che ricominciamo qui, qui e qui.."; lo scopo di fondo dovrebbe essere quello di formare il pensiero dei fedeli e dei benauguranti  cosicché, in uno stato CHE OFFRA POSSIBILITÀ A LARGO RAGGIO (il maiuscolo è indicativo) si faccia la scelta più consona per ciascuno. Non importa tanto cosa fai, ma perché lo fai. Il cattolicesimo è un problema soprattutto di coscienza. E quando la politica compie una scelta "secondo quel che dice il Papa", ecco, quella è demagogia, cosa che con la religione c'entra come i cavoli con la panna.
4. 
Quanto detto al punto tre comporta che di fronte alla parola aborto una come me non corre ad accendere le torce, e se si parla di inseminazione non ammucchierò balle di fieno attorno a un palo. Anzi.. Vi assicuro che di fronte a certi problemi o interrogativi (tipo: fare l'amniocentesi, tenere o no un bimbo con sindrome di Down) la risposta non è scontata e il cagotto è in agguato.. Quello che farei (e che spero veramente tanto di non dover fare) sarebbe frutto di una riflessione che non ricalca necessariamente e precisamente i dictat di tale cardinale o monsignore, ma che verrebbe influenzata dalla situazione in cui mi trovo insieme alle mie convinzioni morali e ovviamente a quelle religiose. Riflessione che ovviamente andrebbe bene solo per me: potrei dire a un'amica "non farlo, penso che te ne pentiresti", ma glielo direi da amica e perché lo penso, non da cattolica tout court. Essere cattolici è qualcosa che informa nel profondo il modo di pensare, non una bandiera da sbattere in faccia.
5.
Quanto detto finora mi porta a parlare dell'omosessualità e dell'omofobia. Anche qua un casino assoluto: pare sempre che i cattolici se vedono un gay gli corrono dietro con l'asse chiodata.
Cazzate.
Per la cronaca il generale messaggio di accoglienza si rivolge anche a chi c'ha un orientamento sessuale minoritario (bella questa).
Il problema semmai sta nel fatto che, come in tutte le strutture rigidamente maschili, i membri hanno paura dei "membri", dunque schifo, schifo, vergogna...
Per i gay vale quanto detto sopra: quello che fai o non fai è un problema di coscienza. Se poi chiedete a me cosa penso dei matrimoni fra omosessuali e della possibilità di far adottare loro un bambino vi direi che ho qualche riserva, ma non semplicemente perché sono cattolica: penso che una coppia per funzionare debba avere un apporto maschile e uno femminile, che queste due componenti sono diversificate e insostituibili per il funzionamento della relazione, e che non basta il relativo avvicinamento che l'omosessualità comporta. Ma questa è un'opinione mia, maturata indipendentemente. Come ho detto: non ce l'abbiamo l'elenco di quello che devi o non devi pensare, nemmeno la Bibbia funziona così..
Conclusioni:
Non ci fate caso: ultimamente spulcio un po' troppo su internet e mi trovo a pensare a quello che leggo. Immagino che non freghi molto quello che una squinzia venticinquenne pensa della religione.
Ma se è vero come è vero che è un errore bollare chi ti trovi davanti con un marchio (negro, frocio, cinese, mussulmano, per citare i più ameni e i più di moda), io dico di non farlo nemmeno coi cattolici. Potreste avere delle sorprese..

PS: chissà quante segnalazioni come inappropriato mi becco oggi, trullallero trullallà..